Non sarò mai la brava moglie di nessuno – Nadia Busato

Non voglio che nessuno mi veda, nemmeno la mia famiglia. Fatemi cremare, distruggete il mio corpo. Vi supplico: niente funerale, niente cerimonie. Il mio fidanzato mi ha chiesto di sposarlo a giugno. Ma io non sarei mai la brava moglie di nessuno. Sarà molto più felice senza di me. Dite a mio padre che, evidentemente, ho fin troppe cose in comune con mia madre.

È lo struggente messaggio d’addio lasciato dalla ventitreenne Evelyn McHale, l’avvenente impiegata che il primo maggio 1947 è salita all’ottantaseiesimo piano del grattacielo allora simbolo di New York, l’Empire State Building, e si è lanciata nel vuoto. È caduta su una macchina parcheggiata oltre 380 metri più sotto, ed è stata subito immortalata da un giovane fotografo che passava di lì per caso, Robert Wiles. Pubblicata da LIFE Magazine, l’immagine è diventata una delle icone più celebri riguardanti la “bellezza” della morte, che ha ispirato artisti del calibro di Andy Warhol o canzoni quali Jump They Say di David Bowie.

Al di là della pietà che si può provare di fronte al corpo morto di una ragazza, pietosamente ricomposto da sé, tramite quella folle caduta che l’ha incastonata per sempre fra le lamiere di un’auto, la fotografia che compare nella quarta di copertina suscita curiosità. Perché quella giovane e bella donna abbia fatto un gesto simile rimarrà un mistero, sepolto con lei. Pulita e ben vestita, con le gambe incrociate in una maniera innaturale eppure, al contempo, frutto di una plastica torsione, con la mano ancora avviluppata al suo filo di perle, quasi dovesse risollevarsi da un momento all’altro.
L’autrice, Nadia Busato, è rimasta colpita proprio da questa fotografia e, tramite un’opera di ricerca che lunga parte lascia alla fantasia, ha cercato di ricostruirne la storia in Non sarò mai la brava moglie di nessuno, un libro pubblicato da SEM, nel marzo 2018.

Probabilmente Evelyn McHale, passata alla storia come uno dei cadaveri più belli, ha subito un ennesimo grave torto, quando è stata immortalata dal fotografo. Lei, che della vita era stanca e desiderava scomparire, in realtà è diventata leggenda. Ne è entrata a fare parte. Il suo corpo non è stato “distrutto”, come si augurava in un eccesso di disprezzo per la sua persona, ma è stato oltremodo condannato ad essere osservato a lungo e da chiunque.
Ecco quindi che alla donna che bramava all’oblio, risponde questo scritto garbato di Nadia Busato, affatto accusatorio e mai invadente. Un tentativo, a mio parere, di rendere giustizia a quella povera ragazza che in vita non ha trovato la pace. Perché credo sia quello che maggiormente incanta della fotografia: il fatto che Evelyn, che si è appena buttata da un grattacielo, esattamente dall’ottantaseiesimo piano, lì, sulla capote di quella macchina ormai distrutta, appaia in pace. Gli affanni della vita ormai non la riguardano; come dice l’autrice stessa, non è più obbligata ad aprire gli occhi. Anzi, mai più dovrà vedere una realtà non gradita.

Il racconto procede per capitoli, dove la personalità di Evelyn prende forma a poco a poco, attraverso la testimonianza di altri. Della madre, una donna che al rifugio sicuro della casa e all’amore dei suoi sette figli ha preferito andare per il mondo, afflitta da un’insolita angoscia e alla strenua ricerca di una felicità ante tempo. Nel dopoguerra, infatti, si tendeva a ricostruire anziché disfare, fosse anche la famiglia.

Nel libro di Nadia Busato parlano anche il poliziotto che per primo è giunto sul luogo dell’impatto e ha condotto la sorella di Evelyn all’obitorio, a riconoscere quel cadavere che, col passare delle ore, più tanto bello non era. Così come la sorella stessa della morta e le tre redattrici del giornale che per primo ha pubblicato la fotografia. Non manca neppure un capitolo dedicato al fidanzato, che aveva chiesto la mano di Evelyn; uno al fotografo stesso che senza pietà (o colto da impellente attrazione) ha immortalato il cadavere. Curiosità che contribuiscono a dipanare la storia, sono altresì il racconto del primo suicidio avvenuto su quel grattacielo e la storia di una donna che invece si è salvata, perché incredibilmente respinta dal vento.

Ma il capitolo finale è tutto per lei, Evelyn McHale, che nella tomba si è portata il mistero del suo gesto. Figlia abbandonata, è ovvio pensare che non abbia mai superato il vuoto lasciato dalla madre. E ogniqualvolta ha sentito che i fatti della vita stavano per ingabbiarla in un periodo di stabilità, ha rifiutato cercando aria. Che trovava mettendo in atto dei gesti inconsulti e insinuando il dubbio nel prossimo di essere terribilmente instabile. E, ci si chiede, si può mai vivere al cospetto di una “pazza”?
Evelyn McHale non sarebbe mai stata la brava moglie di nessuno, lo aveva detto. E noi, a tanti anni dalla sua morte, siamo ancora qui ad ammirarla in quello scatto e a cercare di capire.

 

Non sarò mai la brava moglie di nessuno
Nadia Busato
SEM, marzo 2018
Pagine: 256
Prezzo: € 16,00

 

Cristina Biolcati

articolista, scrittrice e poetessa