Intervista a Silvia Zucca

Il cielo dopo di noi, scritto da Silvia Zucca e pubblicato dalla casa editrice Nord, è un testo molto delicato, diventato un caso editoriale proprio l’esordio dell’autrice che narra di fragilità, di legami familiari, di generazioni passate e future, che lasciano il segno indelebile nel cuore di chi vive al loro posto. Un testo che quasi necessita di essere letto fino alla fine e prima possibile perché ci fa comprendere quanto in realtà è difficile conoscere l’altro pur avendolo sempre accanto.

Come è nata l’idea di scrivere questo libro?
Ti ringrazio, è bello sentire che la lettura de Il cielo dopo di noi è capace di prendere così tanto da rendere quasi impossibile il distacco. Ripaga del grande lavoro di ricerca e di studio che sta dietro. Per quanto riguarda l’idea… La storia de Il cielo dopo di noi inizia circa due anni fa, con la morte della mia nonna paterna. Sembra un escamotage da scrittori… ma trovai davvero delle lettere in casa sua. Non narravano la vicenda che ho poi raccontato nel romanzo, naturalmente, ma una storia personale molto toccante che mi ha fatta riflettere sul legame profondo che avevo con lei, nonostante le nostre differenze, nonostante spesso ci fossimo messe a discutere. Quelle lettere mi hanno fatto pensare all’evoluzione che le persone hanno nella vita, a come il tempo e gli eventi le trasformino, e a come questo diventi un bagaglio importante, determinante per quello che si è. Nonna ha custodito quelle lettere, scritte tra il ’38 e il ’47, quando aveva tra i venti e i trent’anni, fino alla sua morte, avvenuta quando di anni ne aveva quasi 95, e non ne ha mai fatto parola con nessuno. Per lo meno non con noi, i suoi familiari. Questo mi ha portato anche a chiedermi quanto si possa conoscere qualcuno, anche qualcuno così vicino come una nonna, o un genitore. Agli altri, diamo sempre una versione parcellizzata di noi stessi, come un frammento, ed è ricomponendo quei frammenti che Miranda, la protagonista del romanzo, pian piano arriva alla verità di ciò che hanno vissuto ed è stato tanto determinante per i suoi familiari.

C’è qualcosa di lei in questo libro?
Penso che, invariabilmente, quando si scrive, si finisca per raccontare qualcosa di se stessi. Non la storia della propria vita, ma qualcosa che ci sta a cuore, da un piccolo episodio che ci è rimasto impresso nella mente come un’istantanea polaroid, a un’emozione che si è provata. Credo che i libri che funzionano, quelli che i lettori riescono a sentire “nella pancia” abbiano questo dentro, la verità dell’emozione. E nonostante la storia che racconto ne Il cielo dopo di noi non sia la mia storia (sono molto legata a entrambi i miei genitori e non c’è mai stato alcun allontanamento tra noi), né quella di mio padre o di mia nonna, le emozioni che i personaggi provano le ho sentite anch’io, in altre occasioni, certo, ma sulla mia pelle.

Poi, più direttamente, c’è il mio amore per una terra bellissima come il Piemonte, una terra che non mi appartiene per nascita ma che in qualche strano modo continua a tornare nella mia vita attraverso l’esperienza. E la mia passione per il vino, anche, che si estende ora un po’ anche alla sua coltivazione.

Una frase del libro che lo racchiude?
È difficile scegliere perché è un libro molto composito, complesso. Ma ci sono due frasi che mi piacciono molto e che credo ne raccontino l’essenza. La prima è quella che giustamente Nord ha deciso di rappresentare sul retro della copertina:
«Quant’è facile, penso. Quant’è facile che le cose si rompano, anche quelle che sembrano più solide, come l’amore di un padre. Alle volte basta un soffio, un gesto sbadato, del quale non hai considerato le conseguenze. […] come per quei vasi che urti col gomito e prima che te ne accorga finiscono in mille pezzi sul pavimento.»

…che si trova più o meno all’inizio del romanzo, mentre l’altra è questa:

«L’anima è un po’ come uno specchio: integra quando nasciamo, negli anni si frantuma, e le schegge sono più o meno grandi e acuminate. Così il nostro riflesso cambia, in ognuna di esse, per quello che siamo di volta in volta, con le esperienze e le persone.»

Quando nasce la sua passione per la scrittura?
Quando ero molto piccola, più o meno verso i tredici anni. Mi piaceva inventare storie, per giocare coi miei cugini all’inizio, poi sulla carta, o anche attraverso le immagini. Per un certo periodo della mia vita avrei voluto fare la regista, poi mi sono resa conto che le parole mi attraevano molto di più e la forma del romanzo mi dava il controllo che desideravo su quello che creavo. Poi, più concretamente, ho iniziato a lavorare come traduttrice, e posso dire che è stato lì che mi sono fatta davvero le ossa con la scrittura. Leggendo e traducendo ho imparato tantissimo.

Uno scrittore a cui è legata?
Questa è una domanda davvero molto difficile, perché per una cosa come la scrittura non si può avere un solo vero maestro. In più, nelle diverse fasi della mia vita, sono stata attratta da diversi tipi di romanzo, dai gialli di Agatha Christie, ai romanzoni di Ken Follett, fino a Umberto Eco e ai suoi giochi d’incastro. Ora mi piace la scrittura densa e avvolgente di Sarah Waters, di Antonia S. Byatt, di IanMcEwan o quella di Sarah Perry di cui ho appena amato Il serpente dell’Essex. Credo che in un mestiere come questo sia importante tenere sempre presente che non c’è mai un punto di arrivo ma sempre nuovi punti di partenza per imparare qualcosa e di maestri se ne possono trovare dietro ogni angolo, specie in libreria.

Tre aggettivi per descriversi?
Sono perfezionista, fino allo stremo. Ho gettato praticamente in toto la prima stesura de Il cielo dopo di noi per riscriverlo daccapo perché mi ero resa conto che non era quello che volevo.
Sono molto empatica, forse troppo. La considero quasi una deformazione professionale, qualcosa che si è acuito con questo lavoro. Cerco sempre di mettermi nei panni dell’altro e capire le sue motivazioni.
E infine sono anche permalosa, me lo dicono da quando ero bambina. Negli anni, spero di aver smussato qualche angolo. Ho lavorato su me stessa per cercare di non prendermela troppo riguardo alle critiche, o di cercare di capire se possano essere costruttive per me… ma non è sempre facilissimo, lo ammetto.

 

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice