Intervista a Simona Baldelli

Una vita alla ricerca del consenso da parte del pubblico, che ora lo amava ora lo criticava senza esitazione. Un genio spesso incompreso che ha trovato forse più soddisfazioni dopo la morte, come era usuale in quel periodo. Si parla di lui, Gioachino Rossini, del quale Simona Baldelli riprende la vita, nel suo ultimo lavoro L’ultimo spartito di Rossini, un testo che lo vede come uomo, con le sue debolezze e le genialità. Dopo aver letto il libro abbiamo avuto il piacere di incontrare l’autrice, attrice di teatro, drammaturga, regista.

Come nasce l’idea di scrivere questo libro?
Il 2018 è anno rossiniano, poiché ricorre il 150mo dalla morte del grande compositore. Mi è sembrata quindi una buona occasione per scrivere L’ultimo spartito di Rossini e raccontare di lui, della parte meno conosciuta della sua biografia. La vita di Gioachino Rossini è stata narrata spesso in maniera distorta, facendo sì che a noi arrivasse di lui un’immagine assai lontana dalla realtà. E questo era l’aspetto che più mi interessava, poiché intendevo scrivere un romanzo che avesse, fra i temi centrali, quello delle “bufale” (fake news, se preferiamo) e l’odio sociale. La modernità della figura di Rossini mi ha quindi permesso di raccontare della contemporaneità attraverso la lente della storia.

Cosa rappresenta per lei Rossini?
Sono pesarese, come lui, e tutto nella nostra città parla di Rossini. Inoltre sono appassionata di musica e la sua mi regala spesso momenti di pura felicità. In più, era un classicista e metteva la bellezza al di sopra di ogni cosa. La bellezza e l’arte rappresentano, per lui, l’unico scudo a disposizione dell’essere umano per salvarsi da cattiveria e stupidità. E non posso che essere d’accordo.

Una frase del libro che lo raccolga?
«Vitarelli cantava invasato, con maestria e passione.
Puntava il dito verso la platea e oltre le mura del teatro,
quasi avesse capito che per mezzo suo Rossini si rivolgeva
alla città intera. Parlava al suo passato, al presente, a
impresari e critici passati e futuri. Cercava vendetta alla
calunnia, alla malattia di un tempo in trasformazione che
a parole anela al cambiamento ma scredita chi lo incoraggia.
Al virus che infettava l’ammirazione, tramutandola
in invidia e poi in odio».

Cosa rappresenta per lei la scrittura?
La realizzazione di un sogno talmente bello, che non avevo neppure osato confessare a me stessa.

Tre aggettivi per descriversi?
Curiosa. Istintiva. Tollerante.

Il pubblico come risponde?
Io vengo dal teatro, prima come attrice e in seguito come regista e drammaturga. Di conseguenza il pubblico, per me, ha un ruolo fondamentale e, mentre scrivo, mi immagino dall’altra parte qualcuno che mi ascolta e manifesta le proprie reazioni alle mie parole. E sono nata, come scrittrice, grazie al Premio Calvino che sceglie i suoi finalisti tramite un gruppo di semplici, appassionati lettori. Ho vinto il Premio John Fante e il Premio Letterario Città di Cave, che sono attribuiti attraverso i voti di giurie popolari. Posso dire, quindi, che il pubblico mostra di apprezzare le mie storie. E le testimonianze che ricevo tramite social e, soprattutto, nel corso delle presentazioni, mi confermano che l’affetto e il rispetto che nutro per il pubblico, sono ricambiati.

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice