Divorare il cielo – Paolo Giordano

A dieci anni da La solitudine dei numeri primi, romanzo insignito del prestigioso Premio Strega, torna il torinese Paolo Giordano con una storia complessa dal titolo Divorare il cielo (Einaudi, maggio 2018).
Mai nella mia brillante carriera di recensore e, vi prego, leggetelo con ironia, avevo trovato una simile difficoltà. Il libro mi è piaciuto tantissimo e sono qui a consigliarlo. Trovo che Giordano abbia uno stile che incanta: conduce fra le pagine come fosse un sogno. Come fosse un film, e non a caso del suo primo lavoro è stata realizzata una trasposizione cinematografica.

Le frasi fluiscono e si amalgamano fra loro con poesia, musicalità, senza mai una stonatura. Tramite una prosa impeccabile, egli descrive i giovani; una storia per i giovani, allo scopo di guardarsi dentro (seppur con tutte le nefandezze) al fine di trovare un posto nel mondo, o meglio, uno scopo.
Detto questo, credo che la magia creata dall’autore, nel mio caso, sia stata quella di tessere una trama ricca che tiene alta l’attenzione dall’inizio alla fine; che coinvolge e spinge a continuare nella lettura.

Allora mi chiedo, perché Divorare il cielo mi è piaciuto così tanto, se non ne condivido il contenuto? Cioè, se la storia non rientrerebbe nelle mie corde?
È il mistero dei grandi. In fondo, il talento stesso di Paolo Giordano.

Siamo in Puglia, precisamente a Speziale, paese dove Teresa e il padre si recano ogni anno in agosto, a trascorrere le vacanze a casa della nonna. La madre invece non abbandona mai Torino e preferisce rimanere ai margini della loro vita. Confinante con la villa della nonna c’è una masseria, fulcro del romanzo, in cui abitano Cesare e Floriana, una coppia di devoti a Dio, in maniera anche un po’ asfissiante e ottusa. Essi coltivano tutto biologico, non hanno la corrente elettrica e, cosa più importante, accolgono ragazzi “difficili”. Il loro figlio Nicola, infatti, crescerà insieme al gracile Tommaso (il ragazzo è affetto da albinismo) e a Bern (Bernardo, che è anche cugino di sangue), come fossero tre fratelli.

La storia si snoda per un buon ventennio, partendo dagli anni Novanta per giungere al 2012. Inizia quando Teresa è adolescente e spia, di notte dalla finestra, i tre ragazzi fare il bagno nudi nella piscina della nonna. Anno dopo anno, la ragazza s’innamorerà sempre più di Bern (la scoperta dei corpi, cara a Giordano; la passione), finché Bern scomparirà per avere messo nei guai una ragazza, Violalibera, nomen omen. Ma l’autore ha in serbo per noi ancora tante sorprese.

L’intreccio è un crescendo di scoperte e coinvolge tutti i protagonisti, nessuno escluso. All’inizio ho ritrovato l’eco di Aciman, Chiamami col mio nome, in questa villa di famiglia dove si passavano le estati, col protagonista-narratore che spia dalla finestra colui di cui s’innamorerà perdutamente; poi sono approdata a Venuto al mondo della Mazzantini, nell’ossessiva battaglia di Bern e Teresa per avere a tutti i costi un figlio, che passa per la fecondazione assistita nei paesi dell’Est; per fare una capatina addirittura nella Bibbia, con la storia di Caino e Abele. Del finale, col botto, è meglio invece non rivelare nulla.

Le comuni, le sette e i luoghi in cui ci si lascia totalmente coinvolgere da altre persone, hanno da sempre rappresentato per me sinonimo di “pochezza”. E questo è un mio limite. Credo che Paolo Giordano abbia giocato su questo fatto, per creare il personaggio di Bern, ambientalista ed estremista convinto, dal passato difficile perché abbandonato dalla madre, che si batte per la causa degli alberi abbattuti, trascurando magari cose più importanti (vedi Teresa e il loro matrimonio). Un Bern che ama spogliarsi di tutto e permette a Teresa, amore della sua vita, di vendere la proprietà dell’amata nonna e spartire il ricavato in parti uguali (non importa se con due estranei, venuti ad abitare alla masseria e conosciuti da poco). Uno insomma che vive a mille tutte le esperienze, che vuole “divorare il cielo”, come dice il titolo, e crede a tutto quello che il santone di turno gli dice, non mi pare una persona così intelligente, tanto da giustificare l’aura di sacralità che tutti hanno fissato attorno alla sua figura. Tutti lo hanno amato di più (come il Tristan in Vento di passioni) eppure a me Bern è sembrato un personaggio incentrato su se stesso, piuttosto egoista. Il fatto poi che l’autore lo descriva propenso all’amore libero, inquina quell’aspetto di devozione ed esclusiva che invece dà Teresa al loro rapporto. Lei sì che sa adattarsi e resistere! Una che ha rinnegato i genitori e abbandonato Torino, la sua città, per darsi completamente all’uomo della sua vita. D’accordo, anche lei ha i suoi tempi, ovvero tace e non fa le domande giuste quando sarebbe il momento, ma d’altra parte, se Teresa fosse stata da subito consapevole degli eventi, avrebbe continuato ad alimentare il mito di Bern? Non lo so.

Ben vengano, insomma, i romanzi che descrivono i lati più biechi dell’uomo, perché siamo umani e non possiamo nasconderlo. Bene anche a una letteratura che descriva cose crude o scomode. Nello specifico però, quello che Giordano vorrebbe delineare, fra Teresa e Bern, è un amore puro ed esclusivo. Ma se Bern, in assenza di Teresa, va a letto anche con Violalibera e Giuliana (stile chi c’è c’è), devo avere sbagliato di grosso. Sono troppo romantica? Forse sì.
Paolo Giordano deve invece avere affrontato il tema della vita stessa, che talvolta prende pieghe strane e fa giri incomprensibili. Che porta ad affermare le nostre convinzioni ma poi ci fa agire secondo l’utilità del momento.

Divorare il cielo è un bel libro, eh. Dovete credermi. È semplicemente che mi sfugge qualcosa. Oppure avevo preso un abbaglio nel messaggio di fondo, fantasticando altro.

 

Divorare il cielo
Paolo Giordano
Einaudi, maggio 2018
Pagine: 430
Prezzo: € 22,00

 

Cristina Biolcati

articolista, scrittrice e poetessa