Intervista a Roberto Spandre
In occasione del suo ultimo romanzo ci ritroviamo con Roberto Spandre
Come è nata l’idea di scrivere questo suo ultimo libro L’ombra del berbero?
L’idea mi venne già molti anni fa, quando vivevo a Madrid e mi recai con mio padre a visitare Calatañazor, il paesino della Vecchia Castiglia nel quale inizia la nostra storia. Era il mese di marzo, ma faceva ancora freddo in quelle terre soriane, e quel borgo, avvolto dall’odore di fumo dei camini e le cui case in pietra possedevano tutte le tonalità dei grigi e il fascino del tempo passato, mi stregò fin dal primo momento.
Mi ricordo che io e mio padre ci affacciammo dai merli della vecchia fortezza per guardare il paesaggio sottostante, la valle del sangue – come era chiamata un tempo – e le antiche tombe visigotiche. A un tratto mio padre, che stava osservando il panorama, con le mani appoggiate sul vecchio muro di granito ricoperto dai licheni, mi disse, senza girare la testa: “pensa quanto sangue e quante lacrime hanno bagnato queste terre e queste pietre. Se chiudi gli occhi puoi ancora sentire il rumore della battaglia e le urla dei soldati e dei moribondi”.
Fu lì che nacque l’idea ma, come molte volte accade, tale rimase per lungo tempo, fino a che una mattina si risvegliò con me, generando così la storia che racconto nel mio romanzo.
Una frase del libro che lo racchiude?
Che quest’arma, che si alzò in innumerevoli occasioni in cruenti combattimenti, possa ora debellare coloro che vogliono allontanarci gli uni dagli altri, e poi giacere in riposo, nel suo fodero, per l’eternità.
Cosa rappresenta il berbero?
Il berbero rappresenta la lotta fra i popoli, tra culture, razze e religioni diverse; lotta che, alla fine, soccombe, perché il desiderio degli esseri umani di vivere in pace è e sarà sempre al di sopra di qualunque violenza o discriminazione.
Come è nata la sua passione per la scrittura?
Veramente non saprei darle una risposta esatta. Credo che la passione per la scrittura sia nata insieme con quella per la lettura, che iniziò fin da bambino. La mia vita e il mio lavoro mi hanno portato verso la scrittura di tipo professionale, articoli e libri inerenti alla mia specializzazione poi, terminata la vita lavorativa, la mia mente e il mio spirito si sono come “rigenerati”, spostando il loro interesse verso altri generi letterari.
Tre aggettivi per descriversi?
Sognatore, perseverante, sensibile
Come sta rispondendo il pubblico?
Questo è il mio quarto romanzo con Sandro Acinas – il mio alter ego – come protagonista. I primi tre – Tracce di cenere, Delitto alla fiera e Il serpente tatuato – sono stati accolti bene dai lettori che ne hanno apprezzato lo stile e la fluidità del racconto. Come scrittore novello, va detto che finora c’è stato un incremento progressivo nelle vendite, il che mi fa sperare in migliori risultati per questa mia ultima opera.
Uno scrittore è come il vino, ambedue migliorano con il tempo, si formano, si “strutturano” e tendono a dare il meglio di sé.