78 giorni di Bombardamenti NATO – Luca De Poli
Sono trascorsi 20 anni da quel 24 marzo del 1999 in cui l’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton annunciò l’intervento Nato, per fermare la pulizia etnica voluta dal presidente serbo Milosevic contro la popolazione albanese del Kosovo.
Il libro di Luca De Poli 78 giorni di Bombardamenti NATO: la Guerra del Kosovo vista dai principali media italiani tratta di quel capitolo drammatico della storia contemporanea.
De Poli fa un’analisi accurata sulle origini storiche, culturali e politiche del conflitto. Una guerra che sancì il fallimento delle trattative, dei negoziati e delle strategie diplomatiche europee, messi in atto per convincere il presidente della Serbia a porre fine alla pulizia etnica.
Era dal 1989 che Milosevic aveva intrapreso misure repressive nei confronti della libertà del Kosovo. Gli scontri continui tra l’Uck (Esercito di liberazione nazionale del Kosovo) e le forze serbe produssero conseguenze drammatiche sulla popolazione civile che portarono alla catastrofe.
L’intento umanitario del conflitto per salvare il popolo da deportazioni e stragi di massa attraverso bombardamenti su bersagli militari in Serbia e in Kosovo determinò in realtà un numero insopportabile di vittime “collaterali”.
Il testo si basa sullo studio delle fonti a stampa (riviste e giornali). Gli articoli esaminati riguardano il periodo compreso tra i giorni precedenti il conflitto fino al dopoguerra e la ricostruzione.
De Poli, nel suo saggio, analizza il ruolo chiave dei mass media nel creare il consenso alla guerra che con le immagini cruente mostrate avevano il proposito di legittimare l’intervento militare. Tutti ricordiamo lo shock provato nel vedere le lunghe file di profughi albanesi, le case distrutte, i villaggi deserti e le persone imprigionate nella più cupa disperazione. Davanti a quelle scene l’intervento armato appariva come un dovere morale, una scelta inevitabile.
Sappiamo che la stampa italiana, blocco monolitico, si schierò a favore dell’intervento militare.
Gli unici giornali fuori dal coro interventista furono il Manifesto e l’Osservatore romano che si dissociarono da quella “guerra giusta” in modo chiaro e netto.
Le parole della carta stampata crearono consenso e coinvolsero emotivamente il lettore mostrando le scene strazianti di quell’ecatombe nel cuore dell’Europa. Furono creati termini inediti, dilatando i confini della tragedia in corso, degli ossimori: basti ricordare le espressioni di “guerra umanitaria” o “guerra giusta”. Gli stessi giornali veicolavano l’idea dell’inutilità di trattare diplomaticamente con Milosevic, creando un’immagine dell’Occidente come mediatore di pace, riluttante all’intervento militare. Di fatto presentando la guerra come un atto necessario.
I media, i grandi protagonisti dietro le quinte del conflitto, si occuparono di documentarlo in tempo reale con foto e video raccapriccianti: uccisioni di donne, anziani e bambini. La popolazione kosovara, costretta all’esodo, in fila alla frontiera, diretti in Macedonia e nel Montenegro. Gli stupri di massa su donne e ragazzine. Il Kosovo si presentava come un macabro campo di concentramento.
Nell’Introduzione, De Poli, fornisce importanti dati storici sul Kosovo da sempre conteso tra serbi e albanesi, culla di civiltà e della cultura della Grande Serbia che permettono di contestualizzare gli avvenimenti. Elementi che consentono di comprendere meglio le radici profonde di quel conflitto. L’autore descrive dettagliatamente il ruolo dell’Italia che soccorse i profughi direttamente nei Balcani, per giungere poi all’appoggio politico dell’attacco Nato e infine all’intervento militare in difesa di valori umanitari.
Un ampio spazio è dedicato all’operazione Arcobaleno, decisa dalla Presidenza del Consiglio, che si occupò di reperire fondi in soccorso dei rifugiati. Operazione molto discussa da esperti del settore volontariato, evidenziandone la contraddizione, poiché da un lato l’Italia bombardava e dall’altro si impegnava a sfamare i profughi. Un’operazione che coinvolse tutte le Ong a eccezione dell’Ics contraria e critica nei confronti della missione Arcobaleno e dell’operato del governo D’Alema.
La guerra terminò dopo 78 giorni di morte, orrori, macerie e devastazioni, con l’accordo firmato il 9 giugno 1999 in Macedonia tra i generali Nato e quelli di Belgrado. Dopo la guerra i serbi in Kosovo furono vittime di rappresaglia da parte dell’Uck, una pulizia etnica al contrario. Chiaramente l’intervento bellico non aveva risolto le controversie dell’area. Clinton aveva dimostrato con il suo attacco ignoranza nei confronti dello sfondo storico della regione balcanica. Molto accese furono le critiche rivolte agli Usa che avevano spadroneggiato senza dar conto agli alleati dei bersagli e delle loro intenzioni e utilizzato l’uranio impoverito e le bombe a grappolo, armi bandite da tutte le convenzioni che causarono danni ambientali e rischi gravi per la salute. Una guerra che come affermò Rysazard Kapuscinski, citato da De Poli, è stata “una vergogna per l’Europa”. La guerra è sempre una sconfitta, non produce solo macerie ambientali ma anche e soprattutto ferite psicologiche indelebili nei sopravvissuti. La guerra con la sua intrinseca componente di odio e violenza non potrà mai essere la soluzione, come la storia ha sempre dimostrato.
Infatti, l’autore, ci spiega della difficoltà della ricostruzione del Kosovo postbellico che oggi presenta un’economia inconsistente, un paese covo di criminalità, corruzione e miseria. Quello che rimane è un elenco mostruoso di migliaia vittime umane (espresse in migliaia) e centinaia di danni materiali (strade, ponti, edifici, scuole e ospedali distrutti).
Il saggio riporta analisi e riflessioni di diritto internazionale e il pensiero illuminato e autorevole di politologi come Giovanni Sartori, scrittori come David Grossman e di filosofi come Jurgen Habermas che con le loro penne hanno tentato di svegliare le coscienze addormentate, mettendo in discussione le ragioni dell’intero conflitto. Il libro è corredato da mappe geografiche esplicative della diversità etnica, dei monasteri e delle chiese presenti nel Kosovo.
In Appendice un ampio repertorio fotografico dei luoghi della tragedia e i documenti delle varie Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che condannavano sia l’uso della forza da parte delle forze governative ma anche le azioni terroristiche dell’Uck.
La conclusione di De Poli è che era una guerra che si poteva evitare e si doveva evitare, menzionando una frase di August Predetto, Professore di Politica Internazionale all’Università della Bundeswehr di Amburgo:
Avremmo potuto saperlo, se solo avessimo voluto saperlo.”, perché come afferma Noam Chomsky, nel libro Il nuovo umanitarismo militare. Lezioni dal Kosovo, quella guerra è stata: “la sconfitta della democrazia e dell’Europa, ma forse anche di tutti noi…
Il libro di De Poli (vincitore del Primo Premio al Concorso Internazionale 2015 Mario Pannunzio, Istituto Italiano di Cultura fondato da Arrigo Olivetti e Mario Soldati, Torino – Sez D) è un valido strumento per chi voglia conoscere e approfondire uno dei capitoli più nefasti della Storia contemporanea di Europa: la Guerra del Kosovo.
78 giorni di Bombardamenti NATO: la Guerra del Kosovo vista dai principali media italiani
Luca De Poli
Edizioni Homeless Book, 2013
Pagine 185
Prezzo € 12,00