Intervista a Francesco Pirrò

Quando dietro a un libro si nasconde un ottimo lavoro di ricerca il risultato è che i luoghi descritti sono perfettamente attinenti alla realtà: ed è quello che accade al giallo La ragazza di Stamford, scritto dal giovane scrittore Francesco Pirrò. Ne abbiamo parlato insieme.

Come è nata l’idea di scrivere il suo libro, che secondo i lettori è intriso di suspense?
Questo romanzo è nato perché avevo bisogno di raccontare una storia, un po’ autobiografica e un po’ inventata. Ho semplicemente assecondato un bisogno, la storia era già dentro di me, una sorta di “passione necessaria”, cioè un qualcosa che ti fa stare bene, e che, un giorno, potrà far stare bene anche chi ti legge. Il mio Io dettava, la mia mano scriveva.

Chi è Frank, c’è qualcosa di lei in lui?
Mi rivedo in Frank, il protagonista. Un personaggio che ha bisogno di uscire dagli schemi e di ricevere risposte dalla vita. È uno scrittore. Come tutti gli scrittori è una persona introspettiva. L’introspezione, però, spesso è vista come una qualità negativa, come fosse un sinonimo di introversione. Non dico, certo, che non essere estroversi sia un male, dico solo che Frank accetta serenamente l’ambiente, troppe volte grigio, buio, in cui vive. Si sente a suo agio. Tutto qui.
Il perché di questa sua personalità è facilmente comprensibile se è posta all’attenzione del lettore il percorso di crescita di Frank adolescente. Egli era un ragazzo come tanti, finché non ha iniziato una lunga relazione con la Solitudine. Frank soffre questa condizione per un evento in particolare. Però cresce, ha un discreto successo, anche da un punto di vista professionale. Così la sua condizione migliora, e la sua sofferta adolescenza lo aiuta ad accettare, come dicevo, serenamente l’ambiente in cui vive, o addirittura impara ad amare sinceramente quell’ambiente ritenendolo suo e avendo, a mio avviso una marcia in più.

Da dove nasce questa sua instabilità di carattere?
Frank è una persona ambiziosa; dall’evento negativo non si fa abbattere, ma ne guarda il lato positivo e ne trae insegnamento per migliorare, in qualsiasi campo della sua vita. Frank però non ricerca la perfezione, la perfezione sarebbe un punto d’arrivo e, di conseguenza, una fine. Se giungesse alla perfezione non avrebbe più motivo di migliorare; proseguire non avrebbe più senso. Come il filosofo che in realtà non cerca la risposta alla domanda, ciò che gli interessa davvero è pensare, ragionare. Se avesse la risposta, lo scopo di filosofare sarebbe caducato. Frank vuole tendere alla perfezione, ma senza mai raggiungerla. Frank ha un inconfessabile segreto che nasconde fin dalla sua adolescenza. Come tutte le questioni irrisolte, però, il suo passato tornerà a bussare alla sua porta.

Un giallo non è facile da scrivere quali sono stati i suoi ingredienti per renderlo così appassionabile per il pubblico?
Un elemento fondamentale del mio romanzo è il modo di raccontare la vicenda. Ho provato a fare in modo che il lettore fosse rapito dalle pagine del romanzo attraverso una descrizione minuziosa e attenta della storia, provando a “mostrare” più che a raccontare ciò che accade.

Penso, inoltre, che la suspense in questo caso sia stata alimentata dal non sapere come la storia possa evolversi. La vicenda conduce il lettore in un determinato punto che però non è anche “preciso” perché a partire da quel “determinato punto” tutto potrebbe accadere, niente è escluso. Per cui, non resta che finire il romanzo.

Cosa significa per lei scrivere?
Scrivere è una delle mie grandi passioni, vuol dire “andare via”, rifugiarsi tra il saltellare dei tasti del pc, soprattutto quando lungo il cammino della vita si incontrano momenti difficili.
Mi è capitato di scrivere per far sì che determinati momenti, che reputavo importanti fossero impressi sulla carta e, dunque, nella mente. Intendo la scrittura come un modo codificato di comunicare con gli altri.
Io penso che il libro sia dello scrittore solo quando lo scrive, poi, successivamente, sulla copertina ci finisce il suo nome, ma poi basta così! Perché successivamente il libro non è più dell’autore, ma appartiene in maniera divisa e diversa ad ogni singolo lettore. La diversità di contenuto che si nasconde dietro quelle stesse (uguali) righe, si sostanzia in due elementi. Il primo elemento riguarda il lettore. Il secondo il rapporto tra autore e lettore.

Rispetto al primo il lettore riceverà un determinato messaggio da ciò che legge a seconda della sua Weltanschauung, per dirla alla tedesca, della sua visione del mondo e di concepire lo stesso. Rispetto al secondo, tutto dipenderà se il mio lettore mi conosce e soprattutto quanto mi conosce. Questo perché, con le dovute proporzioni, chi legge i miei racconti, legge me, solo che lo fa in maniera codificata, e solo chi mi conosce davvero, è in possesso della chiave per decifrarli, i miei codici, e quindi, i miei racconti. Per cui, uno scrittore, per rendere “proprio” il suo racconto, necessita solo di tanta passione, dedizione e pazienza.

In questo periodo dove tutti dobbiamo stare in casa oltre il suo che altri libri consiglia?
Proverei a consigliare alcuni capolavori che tutti coloro che si definiscono “lettori” dovrebbero leggere, prima o poi. Evidentemente ce ne sono molti, ma quelli che in questo momento mi sento di consigliare sono Il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald e Misery di Stephen King. Quest’ultimo ho avuto modo di rileggerlo in questi giorni, riflettendo in particolare sul valore della libertà: un tema che pare così scontato, ma che in periodi come questi ci rendiamo conto di quanto sia per noi essenziale.

Perché ha scelto di ambientare il libro a Londra?
ll libro è ambientato non solo a Londra, ma tra l’Ungheria e l’Inghilterra.
Prima di iniziare a scrivere il romanzo, feci un viaggio in Ungheria, a Budapest. Fu un’esperienza magnifica, i luoghi del posto mi colpirono a tal punto che decisi che avrei potuto ambientare lì la storia, avendo anche fatto esperienze del (e sul) posto. L’altra parte del racconto, è ambientato in Inghilterra, la prima parte nella contea del Devon, la seconda a Londra.

In questi ultimi luoghi non sono mai stato, ma ogni minimo particolare che descrivo corrisponde comunque alla realtà. Faccio un esempio: all’inizio della storia si parla di un gruppo di ragazzi che abitano in “Buddle Close”, un vialetto che termina con il paesaggio della brughiera; ecco, anche il vialetto esiste davvero, niente è lasciato al caso. Questo tipo di lavoro mi è costato tanta fatica, ma penso che il mondo abbia posti magnifici da raccontare, non c’è bisogno di inventarne dei nuovi.

Come dicevo, la prima parte è ambientata nel Devon per un espediente letterario, avevo bisogno di un luogo vicino alla brughiera dove i ragazzi potessero incontrarsi. Londra invece rappresenta la maturità, il protagonista sarà costretto, ad un certo punto della storia, a trasferirsi nella Capitale.

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice