La storia negata

Era il 9 luglio 1943 quando in Sicilia sbarcarono le forze Alleate per dare inizio all’operazione Husky con l’obiettivo di aprire un fronte nell’Europa continentale per occupare e sconfiggere l’Italia, penetrando così nella Germania nazista e sconfiggendo Hitler. Lo sbarco in Sicilia fu una delle più grandi operazioni aereo-navali della seconda guerra mondiale, con la partecipazione di due grandi unità alleate: la 7ª Armata statunitense al comando del generale George Smith Patton e l’8ª Armata britannica al comando del generale Bernard Law Montgomery, riunite nel 15° Gruppo d’Armata sotto il comando del Generale Harold Halexander. Strategicamente i due generali avrebbero dovuto creare una sorta di tenaglia partendo dall’invasione della Sicilia occidentale con Patton e di quella orientale con Montgomery e dirigersi entrambi in direzione di Messina, per bloccare le forze dell’Asse della 6° Armata italiana con sede a Enna, comandata prima dal Generale italiano Alfredo Guzzoni e dopo dal Generale tedesco Hans-Valentine Hube, che il 15 luglio ne assunse il comando. Egli dispone subito una linea difensiva che ha il suo punto di forza sull’Etna a oriente e sulle Madonie a occidente, piano che il Generale aveva concordato con Hitler per ritardare l’avanzata verso Messina delle Forze Alleate e quindi avviare un piano di evacuazione delle forze dell’Asse. Hube ha ormai il pieno controllo della situazione, dopo avere ritardato l’avanzata inglese sposta i suoi soldati dall’Etna verso la piana di Catania e Adrano e da qui verso Troina, dove bloccherà il Generale americano che, proveniente dall’occupazione di Palermo, giunto ad Enna, procedeva verso Troina. In questi luoghi orroccati avviene una cruenta reazione tedesca che blocca  gli americani diretti verso lo stretto di Messina, comandati dal Generale Patton. 

I tedeschi sono schierati su tutta la linea difensiva di San Fratello, pronti a resistere per favorire l’attuazione del  piano di evacuazione dalla Sicilia delle truppe tedesche, infatti retrocedono da tutti i fronti fino a giungere a Capo Calavà, dove interrompono un tratto di strada litorale per ritardare di più l’avanzata degli Alleati. Lo sbarco dalla Sicilia inizia nella notte del 10/11 agosto e finisce il giorno 17, ma già Hitler aveva ordinato il ritiro delle truppe tedesche sin dal 26 luglio, il giorno dopo la caduta del governo di Mussolini. Quello che ha fatto scalpore in questo inizio della vicenda bellica è stata la frettolosità dei due generali alleati e la concorrenza senza esclusione di colpi per chi fra i due sarebbe entrato per primo a Messina. Nonostante fra il comando italiano e quello tedesco imperassero confusione e dissapori che, addirittura, portarono all’appropiazione da parte tedesca dei mezzi motorizzati delle forze armate italiane, determinando una reazione italiana che stava per degenerare, l’evaquazione avvenne comunque in modo puntuale. Ma ciò che accadde al di là delle strategie militari di tutte le forze belligeranti, a seguito dell”occupazione delle forze Alleati della Sicilia, importante fu l’uscita delle forze dell’Asse dallo scenario siciliano,   la destituzione di Mussolini, la caduta del fascismo e, successivamente, l’armistizio di Cassibile mediante il quale le forze armate italiane cessano ogni ostilità contro gli Anglo-Americani. 

Prima ancora dello sbarco Alleato i rapporti fra i militari nazisti occupanti e la popolazione siciliana non erano idilliaci, i primi accadimenti stragisti nascono durante la ritirata tedesca incalzata dalle forze Alleate, si verificano in tutta la Sicilia orientale atti di violenza inaudita, una sola invece nella Sicilia occidentale, a Canicattì. Le stragi sono quasi tutte legate ad azioni di saccheggi, furti, tentativi di violenza alle donne, che innescano prima un’azione di difesa delle popolazioni siciliane e dopo una posizione di offesa verso i tedeschi, così come avvenne a Mascalucia e a Pedara, nel catanese, oltre diciotto stragi documentati e consumati con efferrati delitti, compresa quella di Castiglione di Sicilia, prima che i tedeschi attraversassero lo stretto.  Nei libri di storia non si racconta l’astio del popolo siciliano verso i tedeschi e l’accoglienza riservata alle forze Alleate di liberazione, da leggere solo come primo atteggiamento di resistenza per cacciare l’invasore nazista. La popolazione siciliana si trovò fra due fuochi, da un lato quello dell’amico-nemico tedesco e dall’altro quello del nemico-amico anglo-americano e dopo il 25 luglio, con la cascata di Mussolini e del fascismo, si ebbe la perdita della percezione nell’individuare amici e nemici in campo, tanto che si generò una grande confusione e con l’armistizio di Cassibile, in vigore dall’8 settembre, questa confusione si espande dall’ambito civile a quello militare. Lo Stato non c’è più e il popolo tenta di farsi Stato, non solo il popolo antifascista ma anche quello neofascista, nasce in Italia la resistenza armata e anche la repubblica sociale italiana, con a capo dei neofascisti il Mussolini deposto. L’Armistizio di Cassibile rappresenta il punto conclusivo dell sbarco Alleato in Sicilia, l’uscita delle truppe nazi-fasciste dalla Sicilia e lo Stato italiano consegnato nelle mani degli Alleati, ribaltando così le alleanze. La Sicilia è libera, il Sud e la Sardegna sono nelle mani degli Alleati, ma nel resto dell’Italia i tedeschi cercano di occupare i punti nevralgici delle città, appoggiati dai repubblichini di Salò che riprendono la guerra perchè considerano la posizione dell’Italia traditrice del patto con le forze dell’Asse. 

La guerra continua al Nord, il grosso dell’esercito italiano passa con i partigiani o con la repubblica di Salò, coloro che rimasero lontani da queste scelte furono destinate nei campi di prigionia in Germania. In Sicilia molti soldati tornarono nelle loro case, ma si evidenziarono non solo le distruzioni lasciate dalla guerra, ma anche una società affamata e nella miseria a causa di un governo dittatoriale e guerrafondaio, che aveva affidato il popolo al dominio e all’arroganza tedesca. Storicamente ogni qual volta si sono verificati in Sicilia soverchierie inaudite automaticamente hanno avuto inizio dei tumulti, come quelli del “Vespro Siciliano” contro l’arroganza Angioina, come l’insurrezione armata del 1647 per l’abolizione delle gabelle; nel 1848 i moti si sollevarono contro i Borboni fino a giungere, nel 1889, ai fasci siciliani soffocati da Crispi. Adesso la posizione del popolo, dopo l’invasione Alleata, subisce quasi automaticamente un richiamo ancestrale. E’ con l’inizio della strage del pane, a Palermo, seguita dai moti di “Non si parte” dei giovani con età del servizio di leva contro la ripartenza alle armi, che si rimarca l’identità siciliana. Un caos estremo attraversò tutta la Sicilia, con la necessità anche questa volta di un nuovo ordine, così la rinascita siciliana si congiunge con istanze indipendentisti e separatiste com’era avvenuto nei secoli precedenti, rinasce una marcata identità con “La Sicilia ai siciliani”, teorizzata dal partigiano indipendentista Antonio Canepa che, al di là delle rivendicazioni indipendentiste, trovò l’assenso dei siciliani anche per la mancanza di alternative immediate, avvenne la lotta armata con l’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia) contro i fascisti e lo stato monarchico. Gli antifascisti siciliani, quasi sorpresi, contrastarono il separatismo e la mafia che lo appoggiava, cessò il ruolo amministrativo dell’AMGOT (Allied Military Government of Occupied Territories) e Il Regno dell’Italia del Sud nominò Alto Commissario Francesco Musotto, ma con il ritorno a Roma del Regno d’Italia il governo lo sostituì con Salvatore Aldisio, il quale riuscì ad aggirare l’ostacolo del separatismo proponendo un progetto di autonomia siciliana a cui aderì il MIS (Movimento Indipendentista Siciliano), esprimendo anche la volontà di partecipare alla costituente. Il 15 maggio 1946 viene promulgata l’autonomia siciliana, ma con le lezioni del 2 giugno inizia il declino del MIS che, nelle elezioni successive, non ebbe più rappresentanza nè alla Regione Siciliana nè al Parlamento nazionale, una pagina di storia travagliata e sofferta che portò un residuato filo-monarchico-latifondista del disciolto MIS alla strage di Portella della Ginestra con il bandito Salvatore Giuliano. Gli antifascisti siciliani rischiarono molto in tutto questo intreccio, tra separatismo e mafia, in cui caddero i migliori sindacalisti siciliani insieme a tanti cittadini e lavoratori indifesi. 

Al Nord i partiti di sinistra, dopo la fine della lotta armata,  concordarono l’assetto del nuovo Stato che prevedeva “la rimozione di tutti gli elementi fascisti o filo-fascisti, ipotizzando una svolta istituzionale e prevedendo la sostituzione della monarchia con la repubblica”, ma il primo punto venne vanificato da diverse componenti facenti parte del governo che portarono alle dimissioni del primo ministro Ferruccio Parri, nel momento in cui si accorse che stava avvenendo il riciclaggio delle strutture fasciste, l’uomo che non aveva mai accettato di scendere a patti con il nemico, l’uomo che voleva farla finita col fascismo a costo di iniziare daccapo, il primo vero capo del governo che istituzionalizzò tutte le strutture per garantire la costituzione dello Stato democratico e il passaggio dalla monarchia alla Repubblica. Ferruccio Parri buttò la spugna per la storia negata perchè si chiedeva ai partigiani del Nord, che avevano affrontato la lotta armata, la consegna degli stessi allo Stato democratico e una connivenza civile col nemico, qual’era il fascismo, ma anche al Sud venne negato un ruolo attivo nella resistenza, se si pensa che la Sicilia sia stata la prima vittima delle rappresaglie tedesche del separatismo e della mafia, combattute dagli antifascisti  affiancati dall’esercito inviato da Ferruccio Parri. 

Dopo le dimissioni di Parri venne decretata l’amministia voluta da Palmiro Togliatti nel governo di Alcide De Gasperi, senza alcuna consultazione col suo partito, con gli altri membri del governo e neanche con i suoi più stretti collaboratori,  amministia che pose vincitori e vinti sullo stesso piano. Togliatti, persona intelligente ma politicamente spregiudicata e privo di ogni scrupolo politico, come in passato aveva fatto con Antonio Gramsci, abbandonato in carcere e rimasto con la sola solidarietà dell’antifascista “Lince”, corrispondente a Riccardo Lombardi e con quella di Sandro Pertini, causò il grido di protesta di Leo Valiani, di Ferruccio Parri, di Piero Calamandrei, di Riccardo Lombardi, di Sandro Pertini, di Pietro Nenni e degli stessi comunisti che videro stralciata una delle pagine della storia più bella d’Italia, come la Resistenza, negando il grande valore politico-militare e morale che si era costruito con la lotta di liberazione. Se si pensa che la magistratura del regime dittatoriale era integrata nella struttura repressiva dello Stato fascista contro gli antifascisti e si analizza oggi come essa si sia evoluta nel tempo nell’esercizio del potere giuridico costituzionale, si capisce subito perchè sono stati mortificati i valori della lotta di liberazione sia a Nord, dove il 40% dei partigiani era di origine siciliana e meridionale, sia a Sud dove, per gli eventi bellici, la resistenza avvenne senza armi ma con l’ausilio dell’esercito italiano. Una Storia negata attraverso il furto dell’antifascismo, del quale il revisionismo storico di Gianpaolo Panza ne è una testimonianza, infatti oggi la maggior parte di coloro i quali fanno parte del parlamento italiano forse non erano ancora nati, i partiti che fecero la repubblica sono scomparsi, sono scomparsi gli azionisti ai quali veniva rimproverato il loro rigore morale nella politica, ma poi, quasi come una vendetta, sono scomparsi tutti gli altri, dalla DC al PCI, al PSI e a tutte le altre nomenclature minori.

 Il paese è riuscito a far fronte ai rigurgiti fascisti reintrodotti nei gangli dello Stato, così fu nel 1964 con il “Piano solo” del Generale De Lorenzo, pronto a compiere un colpo di stato, nel 1969, figlia del “Piano Solo”, nasce la strategia della tensione con la strage di Piazza Fontana e quella di Bologna negli anni 80, con la complicità di servizi deviati e quella di apparati dello Stato con il sostegno del MSI (Movimento Sociale Italiano). Vennero fuori le Brigate Rossse con sequestri di dirigenti industriali e attentati che hanno avuto il loro culmine nel 78 con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, si scopre anche, su confessione di un membro del gruppo nero, Ordine Nuovo, l’esistenza di un’associazione segreta, chiamata GLADIO (Organizzazione paramilitare appartenente all’organizzazione internazionale Stay-behind “restare indietro”). Sia Giulio Andreotti che Francesco Cossiga, quest’ ultimo indicato come uno  dei fondatori di GLADIO,  ammisero nel 2008 che l’organizzazione era stata fondata da Aldo Moro, Paolo Emilio Taviani, Gaetano Martino e i generali Musco e De Lorenzo, capi del SIFAR (servizio segreto dell’epoca). Oggi le strategie di guerra sono cambiate, con la globalizzazione assistiamo alle guerre asimmetriche, dove i belligeranti non per forza debbano essere due o più Stati, addirittura uno dei belliggeranti potrebbe essere un movimento ideologico, vedi caso Osama Bin Laden. 

L’Italia ha superato, dalla fine della seconda guerra mondiale, tutte queste difficoltà, nonostante la nascita di moviventi populisti e sovranisti ed il ripetersi di pratiche corruttive nell’esercizio del potere, grazie a quella coscienza antifascista esistente nel paese, maggioritaria e attiva, appartenente a forze politiche diverse che, escluse dalla gestione dello Stato nel 1945, sono rimaste maggioritari e presenti nel paese, quale avamposto della nostra democrazia e della costituzione italiana a cospetto di una storia negata.

Franco Santangelo

Critico e Storico