Sospetto di morte – Davide Marchetta

L’amore per il pianoforte supera ogni barriera, anche quando essa consiste nella perdita del braccio destro. La sofferenza che invade tutta l’esistenza, coinvolgendo anche chi non la vive, può diventare l’elemento portante di un vivere tormentoso e incessante, carico di umori romantici e disperati. Sulla storia vera del fratello del filosofo Ludwig Wittgenstein, Paul – pianista che durante la Seconda guerra mondiale perse il braccio destro –, Davide Marchetta, responsabile delle pagine culturali della Gazzetta del Sud, ha ispirato, a soli vent’anni, il suo romanzo.

Il protagonista, infatti, è Rafael che, analogamente a Paul, rimanendo vittima di un’esplosione, subisce l’amputazione del braccio destro.
In lui i sentimenti dell’anima prendono il sopravvento. I moti fluttuanti, visionari e quasi febbrili che caratterizzano i suoi pensieri sembrano acquisire una trasfigurazione fantastica, approdando a una dimensione oltre la Terra stessa. Come sottofondo rimane sempre il logorio. E non a caso Giuseppe Pontiggia considerò «espressionismo visionario» questo incessante monologo interiore di colui che si immedesima nel proprio pianoforte, e la cui anima instabile vuole scorrere senza fermarsi un istante. Di violenza espressiva sembra trattarsi, con la visione del proprio dolore, subendo persino il tormento della morte: Rafael sin da bambino immaginava di venire seppellito solo dopo essere stato rinchiuso dentro un pianoforte a coda.

L’unico effetto scordato di una corda gli «sarebbe rivelato gradito più del silenzio». Il continuo pensare, ossessionante, socchiuso da questo strumento potente, viene espresso con ritmi asfissianti, coinvolgenti, talvolta interiorizzati e talvolta relegati al confine, forse, tra la vita e la morte, assorbiti e filtrati sempre dall’afflizione.

È Rafael che parla, in prima persona. I battiti del suo cuore sono a ritmo incalzante. Questi stessi ritmi si manifestano quando solo accenna a Pandora, la donna con la quale fonde i suoi sensi e sembra unire la sua anima: «Gorgo puro di rose», la definisce.

Anche dopo essere stato osannato come «il titano del pianoforte» dai contemporanei, il vivere di Rafael procede tra passi di suoni e passi di sensazioni misti a sensualità trepidante, che in Pandora, padrona o schiava, ritrovano sentimenti spesso indefinibili o inversi. È con lei che vive percuotendo entrambe le pelli.

Il tuo corpo è una luce che m’abbaglia, perché mi soddisfa. Non lo nego. E la tua speranza quando tu non ci sei, spalma nelle pareti di casa mia, la tua voce. Sui muri la tua povertà. Il tuo orgoglio è una crema rigogliosa di ritratti, di lune. Di piacere. Ma la felicità trabocca e tu non soddisfi la mia solitudine

si rivolse un giorno al suo uomo, tacendogli i pensieri.
La saldezza di questo rapporto è dovuto, secondo il pianista-protagonista, al fatto che mai ci sono state «delle prove di forza» tra loro. Ella e la musica sembrano le uniche fonti di appagamento istintuale e intellettivo.

Il delirio, che si compone di suoni, toni, passione, sensualità, tutti realizzati da parole e frasi brevi, concise, in un continuum di prosa e versi agghiaccianti, che gelano appunto l’animo di chi li legge, rattrista le orecchie di chi le ascolta.
Quella musica, che talvolta lo fa sentire morto perché sottolinea il suo essere monco di un braccio, è la stessa che sa fare «da scudo alla morte» regalandogli una «potenza sovrannaturale» che lo invade «di poesie cosmiche e di divini respiri e di note desiderate e miracolose», raramente conoscibili, ci comunica egli stesso.

La sua «tagliente intelligenza musicale» lo porta a un assiduo esercizio giornaliero, a preludi, studi, sonatine, grazie ai quali resta e si sente pianista, anche se con un braccio solo. Ogni cosa gli si presenta attraversandolo con il dolore. Tentò persino il suicidio, ma Pandora riuscì a salvarlo. Da allora volle sentirsi vivere. I ricordi del passato, logoranti anch’essi, insieme alle speranze, vane, si allontanarono. Si sentì mutare in un «vero pianista» finalmente. E al momento di entrare nel palcoscenico, per una nuova e importante esibizione, la più sentita, la più ambita, ma anche la più temuta essendo con un braccio solo, suonò. E visse.

«La musica è l’unica arte essenzialmente viva. I suoi elementi sono gli elementi stessi della vita. Sorda ma percepibile, potente benché misconosciuta, si trova ovunque ci sia vita» affermò, non a torto, il pianista e compositore polacco degli inizi del Novecento Ignacy Jan Paderewski, in memoria di Frédéric Chopin.

Sospetto di morte
Davide Marchetta
Rubbettino
Pagine 106
Prezzo di copertina € 7,23

Maria Ausilia Gulino

Teacher – Journalist