I monaci di clausura – Tonino Ceravolo

Chi sono e come vivono, nel silenzio della fuga mundi? La pace interiore è stata dimenticata da questa società. Molti, però, decidono di intraprendere la vita ascetica anche per un breve periodo: servirebbe per una decisa rappacificazione con se stessi anche se non è detto sia davvero così.

Dal III secolo, in Oriente, incomincia a svilupparsi l’interesse, da parte di molti cristiani, a cercare rifugio nella solitudine dei deserti e delle montagne per servire Dio con la penitenza e la preghiera. In particolare, i monaci eremiti avevano scelto di vivere isolati per seguire l’esempio di Sant’Antonio abate il quale aveva trascorso più di cinquant’anni nella solitudine sulle rive del Nilo. Altri monaci, invece, avevano scelto di riunirsi in gruppi e fare vita comune in conventi e monasteri, sotto la guida di un superiore. In Occidente, questa usanza che prese il nome di Monachesimo, si sviluppò nel IV secolo soprattutto per opera di San Benedetto da Norcia.

La vita monastica, oggi, è diventata oggetto di studio da parte di molti, poiché vivendo in una mondanità pervasa da stress e frettolosità, si ha quasi la necessità di conciliarsi con se stessi e per fare ciò molti si sono convinti di intraprendere la via della meditazione e dell’ascesi, anche solo per un breve lasso di tempo. Ma come vivono i monaci? Se l’è chiesto Tonino Ceravolo, studioso di Storia e Antropologia religiosa.
La vita del monastero sembra attrattiva di molta gente che vuole avere un rapporto speciale con la propria anima e che vuole allontanarsi dal proprio mondo, anche per rinascere a nuova vita, avendo riflettuto, talvolta, sulle proprie colpe. Ma c’è chi decide e sceglie di vivere per l’intera esistenza questa modalità ascetica. Ed è il monaco.

Già il termine monos contiene il significato cui sono semanticamente collegati monaco, monastero e monachesimo: significa “Uno” e, quindi, colui che è in relazione all’Uno, che ha un rapporto con l’Uno, sostantivo che in Teologia – e non solo – indica Dio. Il monaco, quindi, è il solitario, colui della fuga mundi, l’abitante dei luoghi silenziosi.

Col tempo, come sappiamo, si svilupparono diversi ordini monastici: i certosini (particolarmente eremiti), i benedettini (con accentuazioni più cenobitiche), i cistercensi (che scelgono la decisa povertà), i cluniacensi (che prediligono lo sfarzoso splendore dei riti) con le rispettive regole. Però quello che ci fa notare Ceravolo, riportando nel suo testo le parole di Enzo Bianchi è che:

Non è obbedendo alla regola e all’abate che il monaco pratica l’obbedienza cristiana, ma è restando fedeli allo spirito della regola grazie alle indicazioni dell’abate che egli obbedisce alle parole di Dio.

Questo per far notare che i monaci hanno

la capacità di obbedire al Vangelo in modo che la parola trovi il suo luogo di incarnazione, e la comunità intera, abate compreso, sia capace di “gravidanza” del Verbo, capace di generarlo nel proprio seno.

Il testo è un saggio completo della vita monastica, sia dal punto di vista spirituale, sia da quello pratico, sin dai primordi. Viene spiegato come i monaci scandivano il tempo (visto che nel Medioevo non esistevano i nostri orologi); quali oggetti usavano per lavarsi, vestirsi, mangiare e dormire (per sottolineare che a loro era concesso l’essenziale, senza eccessi né lussi); il lavoro manuale e la lettura divina, per evitare ogni forma di ozio e restare estranei a qualsiasi negotium mondano.

Ed è bene evidenziato, inoltre, come la virtù del monaco sia il silenzio, la meditazione che porta alla saggezza, scaturita a sua volta dal discernimento. In molti si affidano al monaco che conosce la parola divina, che sa comprenderla e trasmetterla al prossimo persino come incitamento alla conoscenza di sé.

I monaci di clausura
Tonino Ceravolo
Rubbettino, 2006
Pagine 148
Prezzo di copertina € 8,00

Maria Ausilia Gulino

Teacher – Journalist