Mercato – Stefano Zamagni

La parola “mercato” è una delle 24 inserite nel progetto linguistico “gemma”, di Ugo Gianni Rosemberg & Sellier di Torino. L’Editore si prefigge di dare un ruolo innovativo alla lettura del libro per instaurare con il lettore un rapporto partecipativo, finalizzato alla cura dei vocaboli e della lingua.

“Mercato” è la parola scelta dall’economista Stefano Zamagni al quale la storica casa editrice chiede di rilevare, tutti i  possibili significati, ed è anche il titolo dato a questo saggio, pubblicato nel marzo del 2014.  Zamagni, nell’affermare che la parola mercato è quella più usata sia nel lessico economico che politico, sia nel pubblico che nel privato, evidenzia come spesso tale termine venga frainteso, proprio perché l’incidenza e il significato di esso si sono allontanati, nel tempo, dal paradigma originario. C’è chi lo identifica come il luogo di scambi di beni e servizi, chi come modello di ordine sociale, chi come meccanismo di acquisti e vendite, chi come una matrice culturale, chi come rimedio o causa di tutti i mali della società, infine chi lo distingue dal significato datogli dalle scienze economiche o dalle altre discipline. Per l’autore queste confusioni non creerebbero grossi problemi se esse non albergassero nel pensiero di chi è chiamato a prendere decisioni sia politiche che imprenditoriali, causa della crisi economico-finanziaria in corso, per il loro modo di intendere il concetto di mercato. Con questo saggio egli cerca di creare un contrasto alla confusione esistente nel mondo politico ed imprenditoriale proprio nel momento in cui le forze di mercato controllano l’intero pianeta e portare i cittadini alla conoscenza di quei processi che essi stessi generano influenzando la propria vita e quella degli altri. Osservando i comportamenti del mercato sin dalla sua nascita, afferma che esso non è soltanto un meccanismo che regolarizza gli scambi, ma uno stile di vita, cioè un Ethos, utile per far fronte alla globalizzazione e alla terza rivoluzione industriale. Stefano Zamagni, accademico, laureatosi in economia e commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e specializzatosi presso il Linacre College dell’Università di Oxford, molte le sue pubblicazioni, ha ricevuto diverse onorificenze e riconoscimenti, premio St. Vincent per l’economia (1989), premio Capri per la saggistica (1995), Sigismondo d’Oro (1998) , medaglia d’oro centro internazionale Pio Manzù (Verrucchio 1998). Ha insegnato presso l’università di Parma ed è professore ordinario di economia politica nell’Università di Bologna. Nel 2009 è stato uno dei principali collaboratori di Benedetto XVI per la stesura del testo dell’Enciclica Caritas in Veritate e nel 2013 è stato nominato da Papa Francesco membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze.

Zamagni focalizza gli scambi di mercato dall’età classica sino al rifiorire umanistico del periodo rinascimentale, mettendo in evidenza che in economia i modi di realizzare gli scambi di mercato possono essere differenti e possono trarre origine da diverse matrici culturali, ad esempio, quella anglosassone  tiene separata la sfera economica da quella sociale, ove gli affari sono una cosa diversa dalla giustizia sociale e dalla solidarietà e quelle che si sono affermate nel resto d’Europa, dove l’impresa non è soltanto affari, ma si presenta con tipologie diverse, come il mutuo soccorso, la cooperazione e le imprese pubbliche, che generano al loro interno reciprocità ed equivalenti. L’economia di mercato si basa, come sostengono anche alcuni filosofi moderni, sulla divisione del lavoro e su uno scambio organizzato e sistematico tale da divenire il regolatore della vita economica di ogni comunità e fattore di umanizzazione. Si sofferma sulla divisione del lavoro orizzontale e verticale, sul significato evolutivo assunto nell’economia di mercato, dalla rivoluzione industriale dopo il XVIII secolo e sottolinea anche i lati negativi dovuti all’alienazione generata dal lavoro ripetitivo della divisione del lavoro verticale. Il secondo fattore è lo sviluppo, quale processo di accumulazione,  visto come libertà negativa in quanto è l’aspirazione di coloro che amano essere liberi senza coercizione e vincoli  di  qualsiasi soggetto, compreso lo Stato. In questo senso più ampia è la libertà negativa e meno sono i vincoli e viceversa, se si tengono presenti anche le tre dimensioni che caratterizzano lo sviluppo, “la crescita”, che da noi si misura col PIL, la dimensione “socio-relazionale” che tende al riconoscimento dei propri e altrui bisogni e quella “spirituale” che riconosce la disponibilità dei beni immateriali e intangibili. Quindi lo sviluppo si afferma con l’armonia di questi tre fattori, non in senso sommatorio ma  moltiplicatore, perché l’annullamento di un solo fattore produce l’annullamento del prodotto, mentre l’avanzare di una componente, a discapito delle altre due,  genera squilibrio del mercato, uguale a quello a cui assistiamo nei nostri giorni. Parla del valore di scambio come unità di armonia che si realizza tra vita personale, relazioni lavorative e progresso civile e del mercato come  via della pubblica felicità. In sostanza la libertà d’impresa realizza la competizione economica vista come   concorrenza, anche se dovesse presupporre l’accettazione della logica del profitto, anche quando l’obbiettivo è di tipo mutualistico, di auto-interesse o rivolto al bene comune. Tutto ciò presuppone l’esistenza di regole di mercato, rese esecutive da una autorità esterna al gioco del mercato medesimo, come lo Stato, un’agenzia sovranazionale o la stessa società civile, autorità che devono impedire il concentramento di potere nelle mani di pochi soggetti e anche da quei sistemi che facilitano l’utilizzo della frode e dell’inganno. Zamagni ci parla dell’abuso del teorema della mano invisibile, che vedrebbe trasformati i vizi privati in pubbliche virtù e il mercato, aperto a tutti, purché ognuno sia in possesso del potere d’acquisto, se  compratore e della proprietà, se venditore, tutto ciò legittimerebbe l’incontro negoziale. L’autore sottolinea che il mercato più che tenere conto dei bisogni della gente tiene in considerazione i loro desideri, infatti un individuo potrebbe essere affamato al limite della sopravvivenza ma se non ha potere d’acquisto il cibo non arriva, come altrettanto chi stando sul mercato, non ha voce per risolvere un conflitto, o sta al gioco oppure esce, differentemente da ciò che avviene in una assemblea democratica, dove invece si  ricorre alla dialettica. La corda che lega venditore e compratore è la fiducia che entrambi acquistano tramite la loro reputazione, onorata da diverse corde che,  pur essendo rischiose,  vengono ugualmente poste in essere, come le dilazioni nei pagamenti, le cambiali e le assicurazioni. La fiducia si arricchisce nella misura in cui vengono onorati gli strumenti di cui si avvale. Un’altra corda, ad esempio, è il tasso medio che le banche applicano nei confronti degli operatori, infatti più basso è il tasso che si applica ai prestiti e più alta è la fiducia che le banche hanno verso gli operatori. L’autore si chiede, al di là della divisione del lavoro, dello sviluppo e della libertà d’impresa, quali  altri supporti possano sorreggere l’organizzazione economica. Fa un excursus  storico dalla campagna alla città, ove i flussi commerciali favoriscono l’accumulo di ricchezza e quindi il nascere di una economia creditizia, che  finanzia i mercati e permette l’ investimento ai risparmiatori. In Toscana irrompe l’umanesimo civile, si crea un nuovo modello di ordine sociale facente perno sulla città come comunità di uomini liberi che si autogovernano attraverso la creazione di istituzioni:

la piazza centrale intesa come agorà, la cattedrale, il palazzo del governo, il palazzo dei mercanti e delle corporazioni, il mercato come luogo delle contrattazioni e degli scambi, i palazzi dei ricchi borghesi, le chiese che ospitano le confraternite.

In questo impianto, tipico delle città, nasce e si fonda la fiducia reciproca, la sussidiarietà, la fraternità, il rispetto delle idee degli altri, qui avviene la nascita del nuovo mercato e del mercante produttore di innovazioni organizzative e di aperture culturali. Dall’amore per il bello si giunge alla costruzione e all’arredamento delle chiese, all’edificazioni di palazzi pubblici e privati, nasce il mecenatismo che finanzia gli artisti e i beni durevoli di carattere artistico, fino a dare alle città i connotati di un ambiente ideale. Nascono le camere dei mercanti, in seguito camere di commercio, e tante iniziative di solidarietà messe in atto dalle confraternite. Ma coloro che guastavano il bene comune delle città, causando malgoverno e producendo miseria e sudditanza, erano gli usurai e gli avari. Intervennero i francescani con la costituzione dei Monti di Pietà che, sostituendo l’usanza dell’elemosina, fecero da contrasto all’usura e ai ricchi mercanti, i quali reagirono in modo molto violento. Macchiavelli pose fine al concetto di politica, vista come filosofia morale, facendola assurgere a quello di scienza del governare, la Riforma affermò il concetto “ognuno sarà sacerdote di se stesso” e Lutero si ritenne addolorato nel vedere l’usura progredire  e diventare il male principale della società. Furono questi uomini che accelerarono il passaggio dall’economia civile, volta al bene comune, a quella di mercato capitalistico, sostituendo il bene comune con il bene totale e la massimizzazione del profitto da distribuire tra tutti gli investitori in proporzione ai loro apporti di capitali. Ciò che differenzia i due modelli di economia di mercato è il fine perseguito dagli operatori  che nel mercato operano e, di conseguenza, la funzione che assegnano alla divisione del lavoro, alla libertà d’impresa e allo sviluppo. La differenza, quindi, fra bene totale e bene comune sta nel fatto che il primo è il risultato di una sommatoria, i cui addendi rappresentano i beni dei singoli, il secondo invece è il prodotto dei beni dei singoli, i cui fattori rappresentano le stesse singolarità, cosicché,  se nel bene totale si annulla un addendo, la sommatoria rimane sempre positiva, mentre nel  bene comune l’annullamento di un solo fattore azzera l’intero prodotto, pur non di meno queste due tendenze potrebbero dominare le spinte anarchiche di tutti contro tutti. L’autore sottolinea la visione errata del concetto di mercato quando lo si fa coincidere con l’egoismo e con il luogo dove vengono svolti i propri interessi individuali e quando lo Stato assume posizioni di solidarietà e il perseguimento di interessi collettivi tramite il mercato, fondando la dicotomia  Stato- mercato sulla sfera degli interessi pubblici, come se il privato non avesse funzioni sociali, si richiede che il mercato debba assolvere il compito con la massima efficienza mentre lo Stato, dopo il raggiungimento di questo obiettivo, assumere il compito di redistribuire la ricchezza. Come sappiamo, però, lo Stato non è più nelle condizioni, con gli strumenti classici della tassazione, di assolvere questo compito al punto che c’è chi sostiene che non vi è più bisogno dello Stato o di altra autorità pubblica per assicurare l’ordine sociale, il massimo del benessere potrebbe scaturire dalle risorse disponibili in quanto il mercato sarebbe in grado di autoregolarsi e, abbandonando il principio del NOMA, l’economia potrebbe starsene separata sia dall’etica che dalla politica. L’autore ci parla del teorema della mano invisibile, di Adam Smith, dove i possessori di capitali preferiscono investire nel proprio paese, creando benefici alla società e al paese medesimo, anche senza la loro intenzione, pertanto la mano invisibile potrà svolgere il suo compito se riuscirà a condurre all’ottimo di Pareto, sistema decentralizzato, basato sui prezzi, cioè far si che l’allocazione delle risorse possa  essere  tale da non richiedere più altri miglioramenti al sistema produttivo. L’autore reclama l’equilibrio di Lindahl per il consumo del bene pubblico, in quanto nella realtà lo Stato provvede al finanziamento tramite tassazione o con la creazione di debito pubblico, come adesso accade. La mancanza di questo equilibrio fa inceppare il meccanismo della mano invisibile specie in caso di comportamenti anarcoidi, che portano ad esiti nefasti  e rappresentano la mano invisibile cattiva che conduce il mercato al fallimento. La pretesa di isolare la sfera del mercato dalle altre sfere della società, ad iniziare da quella politica, non è destinata ad avere successo, infatti l’autore chiede di abbandonare il principio del NOMA, chiede di andare oltre la tradizionale economia capitalistica di mercato, avvertendo, però, che il mercato debba andare in sintonia con la democrazia se si vuole raggiungere l’obbiettivo del progredire e fare fronte al pericolo dell’individualismo e dello statalismo centralista.

…lo Stato liberale può esistere solo se la libertà, che esso promette ai suoi cittadini, viene regolata dalla costituzione morale dei singoli e da strutture sociali ispirate al bene comune.

Zamagni mira, dunque, ad una economia civile di mercato, dove abbia un ruolo preminente la centralità della persona, che agisce e opera nel contesto sociale in cui si trova, e dove ogni transazione venga basata sulla reciprocità.  L’autore auspica quindi, che ogni organizzazione istituzionale si possa basare su una simbiosi tra la mano invisibile del mercato, la mano visibile dello Stato e, in ultimo, quella fraterna degli operatori, basata sul principio di reciprocità.

Concludo con la seguente mia riflessione: all’auspicio delle tre mani,  fatto dall’autore, aggiungerei la quarta mano, quella del popolo, che nel mercato si trova in posizione di consumatore e  che per accortezza e avvedutezza, non condivide quell’ Unione Europea e il suo analogo equivalente nazionale. Infatti, attraverso la diffusione del debito pubblico, si rendono schiavi interi popoli, vedi la vicenda della Grecia e da pochi giorni il default dell’ Argentina, per la seconda volta in poco più di un decennio, che coinvolge anche noi europei e ci piega,  con questo gioco, al massacro finanziario, essendo le nazioni del mondo  legate come da una catena di Sant’Antonio, fatta di debito pubblico, che viene innalzato a “sovrano” all’inizio del terzo millennio, per avere distrutto la legittima aspettativa del rapporto lavoro/salario ma anche i “beni di gratuità” del popolo, in quanto, tout court, sono stati spazzati via in modo violento, mettendo in crisi anche le relazioni interpersonali e a rischio la democrazia politica che appare in pericolo per la mancanza di democrazia economica, come sostiene l’autore del libro.

Il desiderio di Zamagni è che questo libro venga letto da più persone, per evitare che il discorso sull’economia resti appannaggio degli esperti e poter percorrere, così,  la via migliore del progresso civile. Egli, fuori da ogni clamore, in questo modo, testimonia la sua presenza nella sfera dell’economia e della cultura come valido e attivo cittadino del mondo.

 

Mercato
Stefano Zamagni
Rosemberg & Sellier, 2014
Pagine 146
Prezzo di copertina € 9,50

 

 

 

Franco Santangelo

Critico e Storico