Elisabetta Ambrosi: donna-mamma-lavoratrice guerriera

Essere donna e madre, conciliare lavoro e famiglia, nel secolo attuale, ancora sembra un traguardo, perché ci si pone la solita domanda se dedicarsi solo alla casa oppure lavorare fuori. Avevamo letto a tal proposito il libro Guerriere, di Elisabetta Ambrosi, dove è esplicito il modo assurdo con cui si lavora, senza tutele e senza incoraggiamenti autentici. Abbiamo parlato con la giornalista, che ci ha fornito diversi spunti su come bisognerebbe in primis coinvolgere i papà nella gestione familiare e poi scuola e stato.

Come “concilia” famiglia e lavoro?
Ho sempre pensato, e messo in pratica, un modello di cura plurale. In altre parole, fin dalle prime ore dalla nascita, ho messo mio figlio in braccio a tutti e poi mi sono affidata a nonni, baby sitter e soprattutto alla scuola (mio figlio è andato al nido a tre mesi).
Non credo che la mamma sia insostituibile e anzi credo che un bambino, anche piccolo, a contatto con più esperienze – la scuola, una notte a casa dai nonni o un baby sitter esperto, può esserne solo arricchito se si insegna a che a lui a fidarsi degli altri e a prendere il meglio da tutti coloro che si prendono cura di lui. Ho potuto insomma continuare a lavorare sempre grazie a questo puzzle di aiuti, che ovviamente io ho sempre gestito con attenzione e altrettanta cura. Dico alle donne: chiedete aiuto, e fidatevi il più possibile di tutti.

Nel suo libro vi è una parte dedicata al cibo e alla salute, dunque che ne pensa «di questa nuova moda che ci fa sembrare veleno la frutta e le verdure che abbiamo mangiato fino a oggi»?
Sì, sono convinta che davvero il salutismo alimentare abbia raggiunto degli eccessi, nel senso delle paure che ci vengono indotte. Benissimo essere attente, benissimo selezionare il più possibile, scegliere ogni tanto – non sempre – il biologico, stare attenti alla qualità della mensa a scuola, ma vivere con l’angoscia dei veleni mi sembra veramente controproducente. Credo poi che le mamme italiane siano troppo ossessionate dal cibo, mentre dovrebbero più lasciarsi andare al gioco con i bambini, oltre che alla cura della propria libertà.

Quando si diventa mamme, almeno al primo anno di età del bimbo, c’è il “problema” dell’allattamento: è possibile “conciliare” anche questo con il lavoro?
L’allattamento è un tema delicato, e attraversato da troppi conflitti ideologici, anche. Secondo me non esiste un allattamento tipo, ogni donna sceglie l’allattamento che più risponde al suo modo di essere. Se una donna vuole tornare a lavorare presto, è fondamentale che si senta libera di farlo, ad esempio. L’importante è essere informate e sapere che nei primissimi mesi di vita il latte materno è veramente indispensabile, oltre che più economico. Certo se le donne fossero aiutate dopo il parto, come succede in tutti i paesi europei, con un’ostetrica o doula a casa tutto sarebbe molto più semplice. Invece molte donne si trovano in difficoltà perché allattare è un’esperienza che può essere inizialmente molto difficile e dolorosa. Ad ogni modo, l’allattamento a richiesta, ogni due ore e anche di notte, è molto faticoso e se una donna non ce la fa deve avere il diritto di dire che non se la sente e magari cambiare il tipo di allattamento. Non mi piacciono da questo punto di vista i radicalismi che fanno sentire le donne inadeguate. Per il ritorno al lavoro, ci si può organizzare magari con un tiralatte o provando a tornare a casa se si abita vicino. Ma per quanto ritenga che il diritto al latte materno sia un diritto del bambino, gli allattamenti a oltranza, fino a due anni, mi sembrano un po’ esagerati e forse persino controproducenti rispetto all’autonomia del bambino.

Ora che è uscito il libro e ha avuto tantissime risposte dal pubblico ha pensato di cambiare qualcosa nel suo modo di rapportarsi con la famiglia e con il lavoro per “conciliare” il tutto nel modo più perfetto possibile?
A dire il vero, ero già veramente ben organizzata da prima. Per me lavorare e avere anche una vita con momenti di libertà fondamentale per stare bene, non sentirmi infelice o schiacciata. Mi piacerebbe piuttosto avere un secondo figlio, ma non nascondo le paure, specie in un paese dove la responsabilità e i costi dei figli ricadono totalmente e ingiustamente sulle famiglie e specie in un momento di crisi economica che ci procura molta infelicità e incertezze, scoraggiandoci anche rispetto ai nostri desideri più grandi.

Se avesse la possibilità di far cambiare le cose con un tocco di bacchetta magica cosa modificherebbe nell’immediato a favore delle donne lavoratrici?
Ci vorrebbe una bacchetta magica extra o particolarmente efficace. Perché bisognerebbe cambiare tantissime cose. Anzitutto, dare tutele ai lavori poco tutelati, la maternità ai lavori che non ce l’hanno, sussidi di disoccupazione tra un lavoro e l’altro. Le scuole dovrebbero sostenere i genitori con orari più lunghi e più flessibili, specie d’estate, ma soprattutto con una maggiore qualità. Ci vorrebbero asili nido per tutti i bambini, nessuno dovrebbe restare fuori, ci vorrebbero congedi di paternità pagati per i padri, ci vorrebbe un’assistenza a casa delle mamme che hanno partorito, ci vorrebbero, ancora, sussidi veri alle famiglie, possibilità di detrarre completamente le spese dei figli, e un particolare aiuto per lo sport dei bambini – bisognerebbe che fosse quasi gratuito, invece oggi una piscina può arrivare a costare una fortuna – e anche per le medicine: assurdo che costino così tanto, specie quando si tratta di bambini piccoli. Insomma la società dovrebbe sostenere tantissimo le famiglie, invece che lasciarle sole. I padri, infine, dovrebbero fare di più. Non solo praticamente, ma anche “mentalmente”, perché se è vero che oggi aiutano di più, la responsabilità dell’organizzazione delle giornate dei bambini, con tutte le ansie relative, è ancora sulle spalle delle donne. Alle donne dico: cercate una parità vera in famiglia, fin da subito. Specie in un paese senza servizi, bisogna almeno partire da lì.

Maria Ausilia Gulino

Teacher – Journalist