Il prezzo del Requiem – Marco Fanucci

Questo romanzo non racconta il prezzo alto di una messa per defunti, ma il modo di com’è iniziata la fine della prima repubblica. Parla della speculazione sulla fine terrena di quei cittadini ai quali non veniva chiesto il prezzo del biglietto per andare nell’aldilà, ma il prezzo salato del servizio funebre, manipolato dalla cupola delle tangenti. L’autore sostiene trattarsi di una storia inventata ma che potrebbe essere quasi vera. Del comitato affaristico facevano parte tutti i rappresentanti dei partiti dell’arco costituzionale dell’epoca, i quali regolamentavano addirittura la loro attività con un “lodo, il lodo Malacarne” dal nome del deputato che lo aveva redatto e che presidiava il comitato.

Era l’estate del 1992, il lodo stabiliva non solo le percentuali che le varie imprese dovevano pagare, ma anche la distribuzione del ricavato in funzione del peso politico del partito rappresentato da destinare ad ogni membro del comitato, comitato che sembrava seguisse la rivoluzione di Copernico “tutto gira intorno al sole”, ma dove il sole veniva sostituito da “soldi, cibo e fica!”. L’autore, in modo incidentale, racconta il reclutamento di un comunista, nel ruolo iniziale e di poco conto di ghostwriter, compagno nelle scuole medie dell’on. Malacarne, con lo scopo di evidenziare come la questione delle tangenti fosse un fatto educazionale, non nato da necessità economiche, ma da una mentalità della classe dominante, trascinatasi nell’excursus della storia italica e trasmessa ai loro figli, i quali sin dalla tenera età manifestavano comportamenti poco ortodossi, come quello di Alberto Malacarne nei confronti del compagno di scuola,  Auro Ponchio. Si rileva il crollo del rigore morale di Auro Ponchio, comunista, assistente di laboratorio in un istituto scolastico, il quale per il dio denaro, giorno dopo giorno, andava costruendosi una personalità a due facce: una conosciuta socialmente e l’altra, dopo avere accettato le avance di Alberto Malacarne, nota soltanto a lui, alla moglie e all’entourage malavitoso, che gli conferiva una dirittura morale bidimensionale. Auro, attratto da una ragione pratica, prima fuori dal suo orizzonte, cede alle richieste di Alberto fino al punto di dissociare il suo pensiero dal proprio comportamento, annullando il suo ideale di comunista per soccombere miseramente ad una vita fatta di sensi di colpa e avvertiva pesantemente, così, il contrasto fra pensiero e prassi. In questa grande città, luogo tutto da scoprire, si consuma il malaffare della prima repubblica, personaggi, come sostiene l’autore, difficili da percepire come personaggi inventati, specie da parte di quei lettori che hanno vissuto l’esperienza di “mani pulite”.

Ma era quella la politica che circolava nelle vene del paese? Quella delle belle parole  e delle sale gremite dalla quintessenza della buona società? Quella ispirata alla Carta  Costituzionale, che avrebbe dovuto rispondere alle esigenze della collettività? Quella della responsabilità nei confronti dei cittadini in ossequio al principio di rappresentanza? Sciocchezze.

L’autore non crede che l’esperienza di mani pulite sia stata una parentesi, ormai conclusa, della politica italiana in quanto gli avvenimenti di corruzione, concussione e peculato, che si susseguono a ritmi incessanti e riempiono tutt’ora i nostri tribunali, fanno riflettere, non solo su ciò che è successo alla nostra classe politica, ma su che cosa sta succedendo al popolo, che dimentica con facilità. Gli stessi giovani, ormai lontani dal ‘68, gli studenti e le studentesse che attingono dai discorsi moralistici ed esaltatori dell’etica del potere, della fede, dei diritti e doveri del cittadino, tramandatici da quella Roma imperiale, corrotta ma sopravvissuta per oltre sette secoli, oggi appaiono tormentati quando traducono quelle pagine dell’antica Italia, non per le difficoltà di una lingua morta, come il latino, ma perché in quelle pagine si nasconde una realtà opaca, poco trasparente, che curiosamente si innesca in modo indolore con la realtà odierna. Il 1992 è l’inizio del declino della prima repubblica, ma Marco Fanucci  non troverebbe difficoltà a restare sullo stesso tema osservando l’epilogo della seconda e della terza repubblica, basta leggere la conclusione a cui perviene il personaggio che si ribellò alla cupola del malaffare.

Tornò in officina con lo sguardo abbassato. Come un giocatore dopo aver sbagliato un rigore in una partita importante. Il suo allenatore lo seguì, mosso da un certo spirito empatico.
“Nicola!”  gli disse.
“Che palle questi giornalisti, ricominciano.”
“Mi dispiace tanto, non avrei dovuto passartela.”
“Hai fatto bene, invece.” Rimase in piedi a fissare il nulla.
“E’ una giornata complicata questa.”
“Perché non vuoi parlare con i giornalisti?
“Quei due stronzi meriterebbero di essere sputtanati.”
“Sputtanati! “
“Ma è una storia vecchia, loro hanno vinto la guerra mentre io l’ho persa, e poi son cose che sanno tutti, ma a quanto pare i voti li hanno presi lo stesso .”
“La gente ha la memoria corta.”
“Può darsi.”
Riemerse dal cofano della macchina con la chiave inglese in mano. La punta del naso macchiata di grasso.

Per sconfiggere la corruzione sarebbe stato sufficiente un comportamento onesto e convinto dei rappresentanti del popolo italiano, ma purtroppo, ancora oggi, assistiamo al ripetersi del fenomeno sotto altre forme più forbite, tanto che i personaggi di Marco Fanucci, pur essendo inventati, hanno compiuto l’impossibile, cioè hanno cambiato l’etica politica con un revanscismo ideologico che giustifichi ogni immoralità.

 

Il prezzo del Requiem
Marco Fanucci
Lettere Animate, 2014
Prezzo di copertina € 1,99

Franco Santangelo

Critico e Storico