Giovanna Mulas: il lettore protagonista delle storie

In questa intervista Giovanna Mulas che racconta di Vite accidentali e della sua passione per la scrittura, nata da piccola grazie a suo padre, contadino-poeta.

Come è nata l’idea di scrivere il libro Vite accidentali?
Una raccolta di racconti, esistenze colpite dalla disgrazia o un frammento di apparente felicità ché, come il lettore sa, coi miei scritti amo far parlare i reietti.
Moto GP, Annichilina e Olghina, Cecilia…ambisco, con superbia tipica dell’artista, al far pensare il lettore, e non m’importa cosa. Credo che non si dovrebbe adorare o odiare il creatore di una storia buttandolo all’inferno o, al contrario, destinandolo ad utopica eternità. Siamo soltanto un tramite, un affollato cavalcavia tra dimensioni, siamo una penna vuota quanto il nostro stomaco destinata ad ingabbiare, su foglio, quel personaggio che attende il visionario di turno. E non è detto che gli si conceda del tutto. Voglio dire…il personaggio va vezzeggiato, sedotto, plagiato, piegato al nostro volere. Sempre sapendo che, in realtà, è il personaggio che vezzeggia, seduce e plagia, piegandoci al suo volere. Lo scrittore è un pervertito de Sade del congiuntivo, un bon vivant dell’etimologia. Eppure, il vero protagonista di ogni storia ben scritta continua a rimanere il lettore. Deve innalzare il personaggio e la sua vita, tra polvere, letti di obitorio o hotel di lusso: cammina a piedi nudi, il Regale Innominato, tra le lenzuola ed il bagno, osa spingersi oltre le righe dell’incipit, quando di buone righe parliamo. Il lettore deve specchiarsi nel personaggio, ritrovare il suo vicino di casa, la ragazzotta allegra con la quale ha passato quindici minuti di celebrità sensoriale. Il nostro lettore deve provare comunque un’emozione, e non m’importa quale. Continuo a vedere lo scrittore come voce del popolo, affinché il pensiero critico faccia discutere, creare, costruire. Autocoscienza necessaria, critica costante sulla e della realtà, che tenda la mano ai movimenti sociali in opposizione alla guerra, all’ingiustizia, alla disuguaglianza sociale. Un movimento di resistenza per la cultura della vita. Davvero, credo che l’augurio da fare ai nostri figli sia quello di riuscire a sottrarsi, con conoscenza illuminata da istinto primordiale, agli abusi della ragione.

C’è qualcosa di lei nel libro?
Ovviamente c’è sempre qualcosa dell’autore nella sua opera. In fondo, scrivere è masturbarsi davanti al pubblico; farlo da insofferenti, disturbati indisturbati, da prepotenti, strafottenti. Nudo, puro e crudo, il buon scrittore non si censura né ammette censura, è libero da tabù, stili, religioni, spazi, tempi o patrie, li sposa tutti e nessuno. Asessuato, puttana e santo, crea il nuovo nel già creato, entra nel tronco e pensa da tronco, nel cane e piscia da cane, gode dove altri soffocherebbero, sente e vede dove altri oserebbero solo spiare dal buco della serratura.

Uno scrittore a cui è più legata?
Tanti, troppi, tra i classici del pensiero quindi della Letteratura mondiale: Gibran, Marquez, Lawrence, Saramago. Pirandello e Verga.

Quando ha iniziato a scrivere?
Alla figura di mia madre, amatissima, fragile e schizofrenica (dalla sua malattia è nato il mio Mater Doloris), ha ‘supplito’ nella mia prima educazione letteraria mio padre, un semplice poeta-contadino con la passione per le arti, che mi iniziò a modo suo – con quella durezza tipica di una generazione allevata a fascio e cipolla – allo studio dei classici… non avevo ancora compiuto sei anni e già conoscevo a memoria i primi passi della Divina Commedia; cominciavo a buttare su carta le mie prime fantasie sul mondo.
Una cosa in particolare m’insegnò mio padre, ripetendolo fino alla morte: `Non dimenticare mai da dove vieni. Non chi sei, ma da dove vieni».
Solo col tempo avrei capito il significato di questa frase.

Tre aggettivi per descriversi?
Ogni uomo è se stesso e le circostanze che lo muovono.

 

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice