Favola in bianco e nero – Mauro Corona

Ci sono fiabe a lieto fine e dai mille colori. Questa, invece, è una fiaba cattiva, sul Natale, «perché il Natale è una festa cattiva dove si scoprono i cattivi che fanno i buoni». È una fiaba che di colori non intende averne perché si propone in bianco e nero, scarna e diretta, senza giri di parole, provocatoria e dissacrante.

Ormai sono due anni che il Bambin Gesù è scomparso dai presepi di tutto il mondo, stanco di un’umanità ipocrita ed egoista. Tutti sembrano abituati a quell’assenza, assuefatti dalla cinica quotidianità ma alle porte del Natale si domandano cosa accadrà stavolta. Il 25 dicembre ecco la prodigiosa apparizione di due statuine del Bambin Gesù, una con la pelle bianca e l’altra con la pelle nera, unite mano nella mano. Sorpresa tutt’altro che gradita: gli umani non vogliono saperne di quest’ironico imprevisto e si danno da fare in tutti i modi per eliminare l’ospite scuro e indesiderato. Non si tratta di mettere in dubbio che siamo tutti fratelli, che dobbiamo amare il prossimo come noi stessi ma da qui a lasciare che nel presepe ci sia un bambino “extracomunitario” è fuori discussione.

La notizia fa in breve tempo il giro del mondo, salotti televisivi compresi, e il popolo, democraticamente anzi quasi all’unanimità, cerca in qualche modo di sbarazzarsi del bambinello colorato, chi per una ragione chi per un’altra, chi alla luce del sole e chi tramite sotterfugi per non rovinarsi la reputazione. Xenofobi, credenti e non, animalisti e moralisti, da ogni angolo del Bel paese, rivelano indistintamente la paura del diverso, il fallimento della vera umanità e diventano lo specchio di una società pronta a decapitare il vicino mentre sul balcone sventola la bandiera della pace.
E mentre le città luccicano in attesa del Natale, lo scrittore grida a squarciagola l’assenza del pargol divin, la morte della pace:

«La guerra siamo noi. Che ammazziamo il gatto del vicino perché ha sconfinato nel nostro cortile. Che cerchiamo di fregare l’amico a ogni passo, in barba a quella parola tanto sprecata chiamata “amicizia”. Che ci teniamo il marcio dentro, come vasi canopi sigillati e muti per paura di esser inquadrati, scoperti, definiti. La guerra siamo noi. Che tentiamo di prevaricare sul nostro prossimo, sul nostro vicino, sul nostro compagno di banco e di lavoro. Che godiamo delle disgrazie altrui, sornioni e finto contriti, mentre ci freghiamo le mani».

Intenso il richiamo alla dramma dell’immigrazione, ai tanti Bambin Gesù inghiottiti nel silenzio assordante del Mediterraneo, tra l’indifferenza e l’oblio delle nostre coscienze.

«Vorrei far presente che da anni Bambini Gesù di carne e ossa affondano nei mari, su barconi sgangherati, assieme a genitori, fratelli, nonni, parenti e conterranei. Un presepe immenso che si sposta e scompare negli abissi con i Gesù, i pastori, i re magi e il resto del seguito. Tutto sotto le stelle, senza cometa. Re Erodi moderni privi di cuore e senza scrupoli, li hanno spinti a fuggire. Non sull’asino ma sui barconi.  Non ho visto la stessa attenzione, o se vogliamo lo stesso interesse, verso questi bambini. Né quando erano vivi né quando erano morti. L’infamia che chiamiamo tragedia e che si consuma davanti ai nostri occhi giorno dopo giorno, è una guerra. Una guerra priva di armi, comandata da fame, miseria e violenza, generali che non s’arrendono mai. Guerra condotta contro un solo esercito: poveri inermi e disgraziati. Il mare è un cimitero liquido che li assorbe, li ingloba e non lascia traccia».

Riusciranno gli uomini nell’intento di separare le due statuette?
Mauro Corona ci consegna una fiaba spietata e fredda, una denuncia contro ogni ipocrisia e perbenismo ma che racchiude un anelito di verità e di pace. Esige di essere ascoltata senza alcun filtro e occorre spogliarsi di sé per riflettere sul suo senso più profondo e lasciarsi provocare, mettere in crisi. Il Natale diventa solo un pretesto per denunciare l’incapacità di costruire un mondo più fraterno e accogliente, l’incoerenza di chi si ritiene buono e giusto e pulisce il lato esterno del bicchiere tralasciando l’interno, per richiamare le parole di Colui che per l’Uomo ha dato la vita, fino all’ultima goccia di sangue. A cosa serve una festa così? Meglio farne a meno.  È la voce di chi, nel deserto della società, grida alla conversione, quella vera.

Resta, però, da fare un altro piccolo passo, prima di lasciarvi alla lettura di queste pagine: Il Natale non è la festa del “facciamo i buoni”, “siamo brave persone perché facciamo il presepe e andiamo a messa”. Fermarsi a questo è arrendersi al trionfo dell’ipocrisia e riconoscere solo il male che, come la zizzania cresce inevitabilmente accanto al grano buono, dominandolo.

Il Natale è la contempl-azione di Dio che si abbassa fino a farsi carne. Solo se “il verbo si fa carne” nella tua storia personale, se il divino incontra l’umano nella tua fragilità, il Natale sarà una scoperta, e quella luce discreta ma coraggiosa farà capolino nella tua vita e tra le strade del mondo, come avviene da più di duemila anni senza far baccano. La bontà, la fratellanza, l’accoglienza sono le conseguenze di quest’incontro e per questo il volto più eloquente.

«Sappiamo che la vita e la salvezza dalla disperazione, la garanzia per l’intero universo si racchiudono nelle parole: Il Verbo si è fatto carne» (Dostoevskij).

Favola in bianco e nero
Mauro Corona
Mondadori, 2015
Pagine 90
Prezzo di copertina € 9,35

Luisa Panno

Impiegata e Interprete