La detective miope – Rosa Ribas

Per il suo romanzo intitolato La detective miope (Mondadori, 2016) Rosa Ribas sceglie di appellarsi alla teoria dei sei gradi di separazione, nota in sociologia come ipotesi secondo cui ogni persona può essere collegata a qualunque altra, attraverso una catena di relazioni con non più di cinque intermediari.
Siamo a Barcellona, terra natale dell’autrice, e la protagonista Irene Ricart è una detective privata a cui hanno ucciso il marito poliziotto e la figlia Alicia. Un omicidio che ha del misterioso, molto probabilmente legato alle indagini che il marito stava svolgendo, di cui non è mai stato individuato alcun colpevole. Per questo, Irene ha trascorso gli ultimi mesi di vita in un ospedale psichiatrico e ha perso tutto.

Quando esce le viene offerto di lavorare per un’agenzia investigativa, dove lei inizia a risolvere un caso dietro l’altro, essendo un tipo particolarmente intuitivo e attento al dettaglio. Il suo solo  e unico scopo è però trovare il killer della sua famiglia, partendo proprio dal presupposto che se normalmente tutte le persone sono collegate tra di loro, anche i casi criminali potrebbero esserlo.

La donna scava nel torbido e poco per volta si avvicina alla verità, così tanto da mettere in allarme chi ha compiuto i misfatti. C’è tempo, è vero, perché alla fine i nodi vengono al pettine. Ma la sua miopia, forse frutto di suggestioni o d’isteria dal giorno del lutto, peggiora sempre più e minaccia d’invalidare le sue stesse prestazioni, costringendola in una corsa contro il tempo in cui pare essere completamente sola.  

Nel panorama della letteratura contemporanea quella di Rosa Ribas è senza dubbio una voce fresca, che intrattiene piacevolmente il lettore offrendogli una serie di casi spassosi da risolvere. Potrei citare, ad esempio, una romena mungitrice di ragni velenosi e pregiati che le vengono sottratti; oppure un venditore di hamburger che dà spettacolo nei locali travestito da donna ed è convinto di essere l’erede al trono delle Hawaii. E badate bene che i casi affidati sono cinque, quindi in fatto di situazioni bizzarre si spazia parecchio.

Il dolore di questa moglie e madre, analizzato con realismo e finto cinismo, è convincente. Non si abbandona a melodrammi che mal s’accompagnano col genere thriller. Irene è una donna distrutta che si ritiene finita e sente su di sé tutta la diffidenza di chi le sta intorno, soprattutto quella dei colleghi del marito, che la reputano non proprio stabile di mente. Tutto questo si avverte fra le righe, perché l’autrice è stata abile nel renderlo evocativo, senza inserire descrizioni tediose.

La detective miope è una lettura veloce e piacevole, che consiglio a chi ama il thriller ma non vuole rimanere troppo a lungo su un unico caso. Insomma, a chi si annoia in fretta e ha bisogno di cambiare scenario seppure all’interno di un solo romanzo.

Non sarei onesta se non dicessi però che Rosa Ribas mi ha convinto sulla sua scrittura e sul personaggio di Irene, che mi è parso pregno di originalità, ma che invece non lo ha fatto riguardo al modo con cui giunge a “catturare” l’assassino del marito e della figlia di questa protagonista.

La conclusione mi è parsa un po’ forzata, così come i collegamenti che si è ostinata ad intrecciare fra un caso e l’altro. Quasi fosse stata a corto di “personale”. Individui che essa stessa ha creato, ma che ha ingabbiato in uno schema per nulla scontato.

La detective miope
Rosa Ribas
Mondadori, luglio 2016
Pagine: 190
Brossura: € 17,50

 

 

Cristina Biolcati

articolista, scrittrice e poetessa