Intervista a Marco Proietti Mancini

Sabato 26 ottobre vi sarà il secondo “incontro con l’autore” a Tivoli presso il Museo Civico con Marco Proietti Mancini autore del libro Non Serve nascondersi. A moderare l’evento Daniela Di Camillo. Per l’occasione ho intervistato l’autore per la nostra rivista.

Come è nata l’idea di scrivere questo libro?
In realtà non è nata, almeno non a me in quanto “concetto libro”. Tra la mia prima pubblicazione e questa sono passati dieci anni e in mezzo ci sono stati cinque romanzi pubblicati, un’altra raccolta di racconti e parecchie collaborazioni ad antologie. Dopo l’ultima pubblicazione nel 2016 ho sentito la necessità di fermarmi e osservare, recuperare un certo distacco da alcune cose che fanno parte dell’ambiente letterario ed editoriale (il distinguo è obbligato, perché in realtà sono due cose diverse anche se fortemente correlate tra loro).
Ho continuato a scrivere, ci sono due romanzi terminati e in proposta agli editori, ma tutto è molto dilatato, vissuto con molto più distacco e rilassatezza di quanto non fosse prima.
Durante tutto questo percorso il mio agente (per la cronaca, Patrizio Zurru, di agenzia Stradescritte) mi ha chiesto se avessi dei racconti pronti per metterli insieme e proporli a un editore che crede molto nei racconti. Dire che l’idea è nata lì non è corretto, perché in realtà i racconti in parte erano già esistenti e ho dovuto solo adattarli, aggiungerne qualcun altro scritto appositamente e rendere tutto più omogeneo.
Comunque, alla fine, mi sono reso conto che il prodotto finale mi apparteneva molto, l’ho sentito e lo sento molto “mio”, pur essendo nato quasi per caso e senza seguire un progetto.

Una frase che lo racchiude?
Quale meglio del titolo «Non serve nascondersi»? Titolo il cui merito appartiene soprattutto a Davide Reina, della casa editrice Miraggi e all’editor che mi ha seguito nella sistemazione dei testi, ovvero Erica Zampieri.
È un titolo che contiene il senso stesso dei racconti, che rappresenta il filo conduttore che li collega (quasi tutti, almeno). Nascondersi, nascondere, mascherarsi, significa fingere soprattutto con se stessi, significa snaturarsi e negare la propria natura, la propria identità, per essere accettati. Tutto inutile, perché poi la vita ti trova comunque e ti presenta il conto e più ti sei nascosto, più il conto è caro.

Cosa significa per lei la diversità?
La diversità non esiste, ovvero la diversità è l’unica certezza che ho per ogni persona che esiste. Non esiste il contrario della diversità, ovvero la cosiddetta “normalità” che è solo un insieme di codici e regole imposte e autoimposte, le abbiamo chiamate “etica”, “morale”, perfino per l’estetica abbiamo sentito la necessità di imporre dei modelli, dei canoni di “normalità”. Non esiste la normalità e di conseguenza non esiste la diversità, esistono solo una gamma infinita di varianti e sfumature di modi di essere.

Qualcuno mi ha chiesto «quindi per te la diversità è sempre positiva?». La risposta è stata «Sì, se non comporta l’imposizione la violenza del proprio modo di essere a chiunque altro».
Un pedofilo non è un “diverso positivo”. Un violento non è un diverso positivo.
Un omosessuale non è un diverso, mentre un eterosessuale che nega il diritto all’omosessualità è un “normale violento”.

Da cosa non ci si deve nascondere in questo mondo attuale dove molto spesso l’ipocrisia la fa da padrona?
In qualche modo ti ho già risposto, posso solo confermare quello che ti ho scritto. Non ci si deve nascondere da se stessi, non si deve negare la propria natura. Non bisogna accettare una normalità che ci viene imposta e che pensiamo ci porti convenienza e vantaggi, ma che in realtà paghiamo stando male, vivendo a metà o peggio, non vivendo.
Non siamo noi che dobbiamo accettare il mondo, dobbiamo fare in modo che il mondo accetti quello che siamo.
Se io mi sono mai nascosto? Certo, solo sbagliando si capisce come non sbagliare più.

Cosa rappresenta per te la scrittura?
Molto. Molta parte della mia vita è centrata nella scrittura come forma di espressione totale dei sentimenti e delle emozioni. Io raccolgo quello che vedo, quello che sento, lo metto insieme, lo trasformo e poi lo esprimo mediato dal mio modo di esprimerlo, ovvero scrivendolo.
Qualche giorno fa in uno scambio con Francesca Piovesan (una scrittrice che ha appena debuttato con il suo “A pelle scoperta”) ci siamo confrontati sul valore e sul potere delle parole. Per far capire cosa intendiamo per “parole”, riporto la nostra conversazione:

Francesca: «A me piacciono le parole. Le parole a voce alta le scandisco bene. Da dove arrivano le parole? Scrivo l’origine delle parole su quaderni pezzi di carta, le scrivo sopra le prime rughe della fronte. Raccontare da dove arrivano, da dove arrivo, da dove arrivi. Pavese racconta che verde deriva da vis, forza. La natura fiera, selvaggia. La natura che è fiera, bestia. Arrivare una volta era l’approdo finale. Giulia sta arrivando sta approdando a me a noi. Arriva l’autunno, approda con un bastimento carico di aria umida e sciarpe strette dove il sangue è più caldo d’estate. Immagini nelle pupille, puer, piccola bambola.»
Io: «Le parole sono infinito che contiene altri infiniti. Io ne sono convinto, le parole non hanno neanche il limite dell’udito, che ha la musica, o della vista, che ha la pittura. Le parole sono gocce di oceano, in cui ti immergi.
Nel quale affoghi o che ti salva. Sono seme e sono fiore, corteccia, linfa e radice, foglia e vento che le muove. Le parole sono vita.»

Ecco cos’è per me la scrittura.

Qualcosa sulla presentazione a Tivoli?
L’unicità di un incontro con una persona (Daniela Di Camillo) con la quale c’è stata immediata coesione e condivisione di obiettivi e una visione comune sulle cose importanti da fare, la tutela dei fragili, la difesa di chi ha subito una violenza, la necessità di supportare le persone nell’affermare il proprio diritto a essere, a esistere per quello che sono. Daniela con il suo “Il laboratorio del possibile” e le sue attività si prodiga moltissimo e concretamente a realizzare tutto questo. Quando mi ha proposto di usare il mio “Non serve nascondersi” per supportare e per presentare le mie storie di unici e “diversi”, come testimonianze di forza e affermazione di vita, ho detto subito di sì.
“Non serve nascondersi”, soprattutto se ci si può mostrare e aiutare chi ha bisogno.

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice