Intervista a Paolo Battistel

Lo scrittore Paolo Battistel racconta de La vera origine delle fiabe, un libro meraviglioso che ci fa capire l’importanza delle fiabe. 

Cosa rappresentano per lei le fiabe?
La fiaba è ciò che ha mosso il mio desidero di leggere fin dall’infanzia, un desiderio insaziabile di attraversare la foresta e raggiungere la lontana terra del “c’era una volta”. In termini più tecnici la fiaba è una narrazione ancestrale che ha origine con l’uomo stesso. L’uomo preistorico sedeva nella notte in un mondo ostile e a tratti incomprensibile e l’unico modo per renderlo meno “oscuro” era raccontare storie – che in origine nascono come storie sacre – che potessero rendere “familiari” elementi come la vita, la morte, il sole, la luna, le belve e tutto il mondo caotico che li circondava. Parliamo come ho detto di storie sacre narrate da un cantore/sciamano che le raccontava in speciali serate in modo che tutta la comunità le potesse ascoltare. Proprio quelle storie ancestrali sono state il collante della comunità e in speciali serate potevano essere riascoltate (sempre uguali e sempre diverse come tutto ciò che viene tramandato oralmente) diventando le radici di quelle antiche popolazioni. Quelle storie sono mutate nello scorrere dei secoli ma l’uomo non ha mai smesso di narrarle, perché sono parte di lui.

Come è nata l’idea di scrivere un libro dedicato alle fiabe?
Una simile idea è nata in primo luogo dalla passione e dall’amore per questo argomento ma in seconda battuta anche dal desiderio di ridare dignità a una forma letteraria che nella nostra società è stata banalizzata e fatta decadere. La lettura di miti, fiabe e leggende, dai Grimm all’Edda di Snorri fino al mito celtico di Cuchulain o a quello germanico di Sigfrido sono stati la linfa della mia giovinezza diventando l’interesse principale dei miei studi universitari. Ammetto che al principio non è stato facile trovare un editore che mi permettesse di scrivere di fiabe in questa veste di racconto sacro e iniziatico dell’antica società pagana, ma dopo i primi testi che ho pubblicato – più prettamente storico-mitologici – ho avuto la fortuna di poterlo fare.

La sua fiaba preferita?
È una risposta che rivelo al lettore nell’Introduzione del mio libro per spiegare quale richiamo forte e incontenibile sia stata per me la fiaba. La fiaba che più di ogni altra è stata per me, come il canto delle sirene per Odisseo o la bionda valchiria addormentata per Sigfrido, è senza dubbio Hänsel e Gretel. Quel racconto letto nella mia infanzia mi aveva catturato e terrorizzato con la stessa intensità di una malia di un’incantatrice. Ero entrato per la prima volta nel mondo e nel tempo delle fiabe e da quel giorno non ho più potuto uscirne.

Molti definiscono fiaba o favola come la stessa cosa, in realtà non è così come si potrebbe far capire questa differenza?
Nella nostra società si utilizzano come sinonimi due parole che designano due generi letterari molto differenti. La favola contrariamente all’uso linguistico che se ne fa oggi è un preciso tipo di racconto allegorico/morale che ha come protagonisti non essere umani ma animali umanizzati. I personaggi delle favole sono delle maschere poste su un volto umano e servivano a uno specifico uso educativo nelle antiche società greco-romane. La fiaba come ho accennato in precedenza ha un’origine molto più antica e vede come protagonisti degli esseri umani che nel loro percorso (di tipo iniziatico) devono superare delle prove interfacciandosi con creature magiche dell’Aldilà fino a un epilogo che porterà alla realizzazione (o alla caduta) del protagonista. La fiaba nella sua origine non presentava alcuna moralità, l’elemento morale è stato inserito postumo da trascrittori e rielaboratoti delle fiabe.

Cosa rappresenta per lei la scrittura?
La scrittura per me è la vita. Ho iniziato a scrivere qualche anno dopo aver scoperto le fiabe e oltre a essere il mio lavoro rappresenta anche il luogo in cui posso essere autenticamente me stesso. La vita nella sua modernità ci pone a indossare maschere un po’ come i protagonisti delle favole greco-romane mentre la scrittura (e la lettura) ci riporta in un luogo al di fuori del tempo dove le maschere e il flusso della modernità perde ogni significato.

Le fiabe sono ancora importanti da raccontare ai bimbi e alle bimbe di questa nuova epoca e che insegnamento possono trarre?
Il mondo moderno generato dai pilastri dell’Illuminismo non vuole in nessun modo avvicinare il mondo dell’infanzia a temi che le fiabe hanno sempre trattato, temi forti e fondamentali che le generazioni precedenti ci hanno lasciato in dono come una spada magica incastrata nella roccia ma che ciascuno di noi può estrarre. Si tratta di temi come la perdita, il dolore, la resilienza e il distacco, ma il pensiero educativo promosso dalla società borghese ottocentesca ha fatto sì che le fiabe venissero falciate delle sue parti più scomode o più cruente inserendole forzatamente un artefatto ordine morale. Quest’operazione oltre a essere ottusa e profana ha svuotato completamente le fiabe facendole diventare spesso un prodotto goffo e zuccheroso che non racconta altro che storie di invidia e gelosia avvenute in mondi più o meno fantastici che i moderni autori ritengono possano piacere ai bambini. Per rispondere alla sua domanda la fiaba, con il suo corpus di sapere millenario, secondo me non è soltanto una possibile via educativa è per me “La Via” per eccellenza, una via che ridà linfa a un uomo ormai perduto nella modernità e riallaccia l’individuo con il suo passato.

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice