I buoni – Luca Rastello

Protagonista de I buoni, ultima opera narrativa di Luca Rastello, è Aza, ragazza dell’Est sfuggita alla vita sotterranea delle fognature di città, e approdata fra le braccia dell’associazione “In punta di piedi”, capeggiata dalla figura quasi eterea di don Silvano, “amico degli ultimi” di professione, ed esempio emblematico di chi il santo sa farlo solo per arte.

Tra le prime pagine ci accoglie lo schizzo di una ragazza magra, seduta noiosamente ai margini di un tombino aperto, con accanto l’interrogativo “Andiamo?” che ci suona quasi come una sfida, o un invito alla dimenticanza, o magari al percorso iniziatico che dalla dimenticanza conduce a nuove, e scomode, verità.
La prima parte del romanzo ha il compito infatti di schiuderci un sottosuolo la cui miseria, che ha i colori veri e duri delle pagine d’inchiesta, non smette di turbarci. Quasi senza accorgercene, ci ritroviamo risucchiati da un testo frammentario e ombroso, la cui scrittura procede per illuminazioni fugaci, rapide apparizioni e altrettanto rapide scomparse: “Ride, si assenta con lo sguardo, allunga il passo. Esce di scena.” O ancora: “Entra in scena Adrian il bandito”.

In questi esigui palcoscenici scavati nell’ombra, in queste asfittiche apparizioni costrette tra un buio e l’altro, pullula una vita diversa dove si attua una lenta regressione del razionale, o forse un deterioramento o uno scorporamento dei principi della logica, rimasta sopra, alla luce apollinea del sole. Non è il rifiuto romantico verso i sistemi opprimenti della società moderna ad aver generato il mondo del sottosuolo, quanto l’incrostarsi, nei recessi di città, di esistenze reiette, talmente dimenticate e dimentiche di se stesse, da rendere arduo considerarle ancora delle vite umane, con un carico tutto loro di diritti, ambizioni, sogni. Eppure Aza, un sogno l’aveva quando fuggiva dalla madre:

Sentivo voce di mia madre che dice ‘Puttana’. Quello era mio motore. Io volevo dimostrare a lei che non è vero. E che io voglio una vita bellissima.

Un luogo non-luogo, una città slabbrata e senza tempo. Il tempo, la storia ufficiale, trascorre lontano dalle piccole storie insignificanti ed effimere del sottosuolo. Rastello ci da pochi indizi del mondo circostante, il sottosuolo è tutta un’interiorità, fragile e sfaldata: “alla stazione Victoriei” “sull’erba del luna park di Brancôvenau” “al centro di un prato in leggera salita c’è la grande statua di un poeta dell’Ottocento”.  Tutto il resto è “quel presepio rovesciato sottoterra” chiamato Underworld.

È per sfuggire a tutto questo che Aza sposa i principi etici di Don Silvano, lasciandoci prefigurare un percorso salvifico-purificativo inverso a quello della vita dei “cunicoli”. Ma il romanzo, ambivalente e mutevole, ci impone forzatamente numerosi cambi di prospettive. Il miraggio di un mondo salvifico si rivela infatti un pericoloso alter-ego del Potere costituito, nel quale brulica una corte di poveri angeli decaduti. Il percorso di salvazione in cui abbiamo sperato si scontra così con l’impossibilità della redenzione e della speranza. L’unica certezza sta nell’incerto. Tale consapevolezza, amara, è ciò a cui giungono i vinti di Rastello, condannati all’esclusione dalla natura stessa:

Per lei è come se la natura fosse una realtà oggettiva, il criterio di ogni verità. Certo, a lei è stato negato l’accesso, ha dovuto vivere contro natura, ma la natura è là, dietro qualche muro, con tutta la sua perfezione,gli alberi da frutto, i matrimoni, tutto.

Con quest’opera Rastello squarcia il velo del perbenismo di certa cultura nostrana, che crede ancora che parole come profitto possano accordarsi ad altre come solidarietà o amore. L’autore – che già in passato ha dato prova di grandi capacità speculative sulle dinamiche del nostro tempo, con testi come Io sono il mercato o La guerra in casa – sembra voler spogliare dalle mire positiviste il concetto del “business ethics” di cui spesso si sente parlare. Per le leggi di mercato, infatti, è inaccettabile la gratuità del dono, elemento fondante di ogni vera relazione, come spiegava Mauss nell’Essai sur le don del 1924. Lo stesso Rastello, fugando certi maliziosi pettegolezzi che vedrebbero Don Ciotti dietro la figura di Don Silvano (e proiettando così l’opera stessa su un piano sovra-temporale), ci chiarisce questo concetto:

il male del romanzo accade quando le buone intenzioni incrociano il narcisismo, il marketing e il modello impresa. E sono dinamiche che scattano ovunque. […] Ma la mia non è una operazione distruttiva. Non voglio dire che il volontariato sia tutto malato, ma adoriamo idoli che dobbiamo avere il coraggio di abbattere per fare posto a una azione davvero caritatevole e discreta, non autoritaria né totalitaria. Dobbiamo poter criticare il mondo solidale che funziona secondo criteri neoliberisti, devoto al marketing e al profitto, che vende un brand come fosse un’azienda.

Occorre dunque che un intero sistema – quello del cosiddetto “non profit” – si interroghi severamente su quanto Rastello denuncia, recuperando il senso profondo della beneficenza, del dono realmente gratuito, del rispetto in definitiva della vita umana, in ogni sua forma.

 

I buoni
Luca Rastello
Chiarelettere, 2014
Pagine 224
Prezzo di copertina € 14,00

Riccardo Ricceri

Medico Specialista in Neurologia