Bruciata viva – Suad

Avete presente quando ad un bambino si dice: «Mangia le verdure che ti renderanno più forte» ma lui non ne vuole proprio sapere? E degli sforzi di una giovane madre che deve combattere contro i capricci del suo pargolo e la personale alienazione di non riuscire ad affermare la sua posizione di istitutrice capace di zittirlo e nutrirlo in maniera moralmente sana? Perfetto. Immaginate che ci riesca e che quelle odiose verdure riescano a compiere quel lungo percorso chiamato digestione, partendo dalle graziose fauci del bambino per attraversare ogni regione del suo corpo, sotto forma di enzimi o proteine che regolano le normali funzioni metaboliche, e trasformarsi ancora una volta in deiezioni, metafora della liberazione da materiale tossico.
Suad è esattamente tutto questo. Un’esperienza. E per un lettore, una purgazione. Alla fine, chiuderete il libro, vi guarderete allo specchio e vi scoprirete diversi.

Ma chi è Suad? –  Vi starete chiedendo.
Suad è uno pseudonimo, quindi siamo tutti noi.                                                                                                             Senza alcuna distinzione di genere, senza fervide posizioni femministe. Questo libro deve poter arrivare a tutti perché l’indignazione deve essere collettiva. Tutti quelli che hanno dovuto recidere, a patto che si riesca, le radici della propria storia, per poter ri-nascere, si proclamino Suad. Con la differenza che a lei spetta ri-nascere dalle proprie ceneri, quelle vere dei lembi di pelle carbonizzata, perché vittima della legge degli uomini.

Le sue radici germogliano in Cisgiordania, un lembo di mondo dove, non sempre, nascere donna è una fortuna. Men che meno se il caso vuole che si venga al mondo in uno di quei villaggi dove essere donna vuol dire: obbedire agli uomini di casa, lavorare, essere picchiata. “In società” (quella dei campi da coltivare) una donna “fisiologicamente matura” è un pericolo; perciò, deve camminare a passo svelto e a testa bassa senza dover incontrare lo sguardo degli altri, tanto meno di un maschio. E se viene scoperta a parlare con un uomo o se si suppone che lo abbia fatto, non ci sono alibi o giudici a cui appellarsi. È una charmuta (una puttana ) e sarà vittima della legge degli uomini. Questa lex, inflessibile ed inderogabile, conosce il solo codice delle torture e della morte.

La difficoltà nel digerire questa lettura risponde ad una difficoltà cognitiva meramente occidentale: risulta inconcepibile, se non assurdo, che una madre strangoli, con le sue stesse mani, una figlia appena nata, colpevole solamente di essere nata femmina. È, oltremodo, abominevole che il “codice civile” imponga la pianificazione dell’uccisione di una donna, rimasta incinta prima del matrimonio, in una riunione familiare, per delineare le modalità e decretare l’assassino, ovviamente un uomo della famiglia. Perché l’unica cosa che conta è pulire l’onore macchiato, pena l’esclusione dell’intera famiglia, dal resto del villaggio.

Ed in che modo si può discutere la violenza psicologica a cui, “per diritto naturale”, milioni di Suad sono costrette a subire? La vergogna mista alla paura di doversi segregare in casa perché è stata superata l’età da marito per via di una sorella maggiore che non è stata, ancora, chiesta in sposa, condanna alla solitudine e alle offese del villaggio perché la legge impone che i matrimoni avvengano in linea di successione, dalla primogenita all’ultima femmina della casa. E se il matrimonio è la sola fonte di liberazione – da un carnefice esperto nell’arte della violenza ad uno più giovane deciso a raggiungere lo stesso primato – per queste donne private di se stesse, inorridiamo, in quanto occidentali incoscienti del nostro sacrosanto ed inalienabile libero arbitrio.

La reale colpa di Suad è stata quella di essersi innamorata ed ingenuamente fidata di un maschio troppo frettoloso per giungere candidamente al matrimonio. A Faiez poco importava di sposare Suad, così come non gli è importato di rimediare al “danno”. Del resto

un uomo che ha tolto la verginità ad una donna non è colpevole, è stata lei a volerlo. Ha provocato un uomo perché è una puttana senza onore.

Quale risposta trovare alla spregevole esaltazione di una fatalità che investe tragicamente percorsi umani quasi fosse un’equazione matematica dove l’unica costante è la sovranità dell’ignoranza che oscura evoluzioni umane e la sola variabile ha il nome di Jacqueline, nel caso di Suad.

Jacqueline è membro dell’associazione umanitaria “Surgir”, (dal francese sorgere, come ad una nuova vita) che si prefigge di sottrarre donne vittime del delitto d’onore, da situazioni familiari drammatiche per permettere loro di ricostruirsi una nuova vita, possibilmente lontano da paesi come la Cisgiordania, la Giordania, il Pakistan, l’India, il Medio Oriente dove questi delitti raggiungono percentuali oltre misura.

Jacqueline saprà dell’esistenza di Suad tramite una donna locale che le parlerà di una sopravvissuta bruciata con l’acido, perché aveva disonorato la famiglia, ma che aveva partorito il suo bambino. Suad, nell’atrocità della sua condizione, riesce miracolosamente, a dare alla luce suo figlio Maruan, nonostante i ripetuti tentativi di procurargli la morte percuotendo il suo ventre gravido. Il loro destino di sopravvissuti, di madre e figlio, più tenace di ogni violenza o senso di colpa, ha avuto come timonieri la volontaria Jacqueline ed un giovane medico locale che con caparbietà riescono a convincere i genitori di Suad a firmare i documenti per la sua sparizione. Ecco perché Suad, ecco perché la maschera che le copre il volto: lei e Maruan, in Cisgiordania, sono due fantasmi e la loro ricomparsa gli costerebbe tuttora la vita.

Una vita che a Suad è costata davvero un prezzo alto: un corpo deformato, sottoposto a venticinque operazioni chirurgiche, presso il centro grandi ustioni svizzero, città dove ha ripreso, seppur a fatica, in mano la propria esistenza. Dopotutto, quel bisogno di vivere sboccia quando concorda un patto di alleanza con la volontaria promettendo che la seguirà nel cammino della liberazione. Scoprirà per la prima volta che il cielo è fatto di nuvole quando dall’alto di un aereo, la posizione supina dovuta al mento carbonizzato, letteralmente incollato al collo, le impone di guardare fuori dall’oblò e non solo a terra come aveva fatto fino ad allora.

Sapevo di essere una pazza a sperarlo, ma era più forte di me, volevo provare a vivere. Di andare a vedere la gente per strada, di parlare, di ballare, di incontrare un uomo per vedere se potevo ancora essere una donna.

L’Europa e la Svizzera saranno la Terra in cui Suad pianterà nuove radici, quelle del vero amore coniugale e materno, quelle della ricomposizione personale ispessite dal rincontro con quel figlio nato dalle fiamme e quelle della esemplarità della sua testimonianza di sopravvissuta al dolore delle cicatrici e dei fantasmi che sempre l’accompagneranno nel suo cammino.
A Suad, ovunque lei sia, porgo i miei ringraziamenti per aver forgiato la mia coscienza di Donna. Una vera emancipazione.

«Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi, Signori, davanti ad una Donna». (William Shakespeare)

 

Bruciata viva. Vittima della legge degli uomini
Suad
Piemme, 2007
Pagine 232
Prezzo di copertina € 9,00

Imma Paone

Studentessa Universitaria