Fortuna, il buco delle vite – Jolanda Buccella

Ricordo perfettamente la notte in cui Fortuna è venuta a cercarmi per chiedermi di essere raccontata, per me non è facile parlarne perché anche se ormai è trascorso quasi un anno da quando l’ho imprigionata per sempre sulla carta e l’ho lasciata andare per essere amata oppure odiata dai lettori, ne sento ancora una terribile nostalgia, le ho regalato quasi cinque anni della mia vita durante i quali non l’ho abbandonata mai, nemmeno a Natale e Pasqua quando avrei dovuto comprensibilmente rivolgere tutte le mie attenzioni alla famiglia e agli amici. Ma per me non è stato un sacrificio insopportabile, anzi, sono stata felice di sacrificare la mia vita per entrare nella sua vita e in quella dei mille personaggi che popolano la sua complicata storia. La verità è che da quando è entrata nella mia testa, in una lontana e afosissima notte di luglio del 2007, non ho più potuto fare a meno di lei, anche se non sono mai stata molto tenera nei suoi confronti perché le ho regalato tre nomi diversi, tre vite completamente diverse l’una dalle altre e tanti, forse, troppi dolori. Lei che ho punito facendola venire al mondo con una grave malformazione alla colonna vertebrale, la spina bifida una malformazione che in Italia colpisce 1 neonato su 1.300 ma di cui si parla sempre troppo poco perché i media hanno cose apparentemente più importanti da proporre al pubblico italiano, e le ho regalato i capelli rossi come il fuoco dell’inferno e un nome bruttissimo che nel corso della storia nessuno riesce mai a pronunciare per intero. J. che nomignolo detestabile! Eppure sulla bocca di nonna Umberta Prima suona così dolce e melodioso, Umberta è una donna formidabile, ha un fiuto speciale per gli affari e non si è mai fatta mancare niente nella vita, soprattutto tanti uomini giovani e attraenti, suscitando il disprezzo della Chiesa e delle pie donne del paese, ma quando ha conosciuto la sua fragile nipotina è cambiata. Ha finalmente mostrato il suo lato più tenero e materno. Quante volte l’arzilla vecchietta si è seduta accanto a me mentre scrivevo e mi ha severamente rimproverata, perché secondo il suo parere stavo scrivendo una storia troppo triste per la sua piccola J. L’ha fatto in modo particolare quando a un certo punto della storia ho deciso di farla morire, inchiodata in un letto senza poter più né muoversi né parlare e la ragazzina è rimasta da sola con una madre come Anita, una bellissima ex ballerina classica dagli occhi cristallini e un corpo sinuoso che non ha mai accettato di aver partorito una figlia storpia, che fa persino fatica a sopportare la sua presenza. Povera J. senza la nonna accanto a sé ha la sensazione di non esistere più, così un lampo di follia scuote la sua mente e la porta a trascinare la sua adolescenza nell’inferno dell’anoressia prima e della bulimia poi. È una vita maledetta, deve mettere la parola fine. Ormai è ora, perché quasi senza accorgersene ha già trent’anni ma non ha mai vissuto veramente. L’unica soluzione è fuggire di casa, allontanarsi per sempre da quello sperduto paesello in cui tutti l’hanno sempre guardata con pietà e disprezzo, per il suo strano modo di camminare. Prende un treno per Roma, sperando che nella Capitale possa trovare un briciolo di quella felicità che pensa di meritare ma si sbaglia, perché l’unica cosa che la città ha da offrirle è un nuovo nome e una seconda vita più disgraziata della prima. J. Rizzutelli diventa Piccoletta la barbona ed è così umiliante andare in giro per strada, stendere la mano e chiedere l’elemosina per mangiare, ma non può farne a meno perché lo stomaco brontola, magari sono giorni che è completamente vuoto. Per strada Piccoletta conosce l’indifferenza della gente ma anche la disumanità a cui può portare una vita di stenti e privazioni, Benny l’uomo che l’ha traghettata nella sua seconda vita, una notte di Natale abusa spudoratamente del suo povero corpo ancora vergine. A questo punto la donna è convinta di non avere più scampo, se persino l’uomo che ha considerato a lungo come un padre buono e generoso è stato capace di farle del male, allora non può fidarsi più di nessuno ed è meglio morire. Tenta più volte di suicidarsi gettandosi nelle gelide e putride acque del Tevere, ma il destino ha in serbo per lei una nuova vita ancora e l’opportunità di farle capire che il mondo è fatto anche di persone buone e generose che offrono il loro aiuto agli altri senza pretendere nulla in cambio. Persone meravigliose come il dottor Nadir Murekatete, un affascinante medico ruandese che conosce a fondo la sofferenza umana, perché l’ha sperimentata sulla sua pelle sin da ragazzino nel suo Paese lacerato dall’odio insensato tra gli hutu e i tutsi. Nadir aiuta Piccoletta in tutti i modi possibili, la sprona ad abbandonare la strada e a riconquistare un posto nella società, ma la donna è stanca di inventarsi nuove vite fino a quando un terribile incendio fa bruciare il suo rifugio e morire gli amici che hanno condiviso con lei la fame e la disperazione. Muore anche Benny, nonostante lei abbia cercato di aiutarlo a salvarsi. Piccoletta trascorre quasi un mese immersa in un sonno riparatore a casa di Nadir, nel suo letto, mentre lui fa di tutto pur di riportarla alla vita. È così tenace che alla fine lei si lascia convincere e riapre gli occhi per darsi l’ennesima opportunità. È complicato ricominciare, è molto complicato riconquistare la dignità perduta. Ha vissuto quasi dieci anni per strada e persino guardarsi allo specchio e scoprirsi molto diversa dalla ragazza di una volta è un dolore lacerante ma c’è Nadir accanto a lei che l’aiuta a rialzarsi, ogni volta che il dolore la fa inciampare e cadere nel pessimismo più esasperato. Così ecco che, passo dopo passo, comincia a sbocciare Fortuna, una donna forte e determinata che non ha proprio niente a che fare con le donne del passato. Fortuna scoprirà il conforto di vivere in una casa accogliente, la soddisfazione di avere un lavoro a cui dedicarsi tutti i giorni e l’emozione unica e indescrivibile di un amore sincero, per la gioia di nonna Umberta che mi ha tormentata fino a quando non ho deciso di accontentarla e creare il personaggio di Nadir che assomiglia così tanto all’uomo tenero e premuroso che tutte le donne vorrebbero avere accanto a sé. Per amore di Nadir, Fortuna decide persino di lasciare l’Italia per seguirlo in Ruanda a pochi giorni dall’inizio del genocidio dei tutsi dell’aprile del 1994 e sarà proprio nell’affascinante e disperatissimo continente africano che si svolgerà la parte più significativa della terza vita della donna, quella che la farà maturare definitivamente e la porterà a mettere da parte i suoi dolori e i suoi mille tormenti per dedicarsi totalmente al suo prossimo. Fortuna, il buco delle vite è il mio primo romanzo, la paura che non fosse capito e accettato da una casa editrice è stata enorme, credo che sia normale avere dubbi e timori quando ci si affaccia per la prima volta a un mondo così complicato come quello letterario. I colossi dell’editoria naturalmente mi hanno snobbato, non sono nessuno, non ho conoscenze influenti e non ho abbastanza denaro per potermi affidare a una nota agenzia letteraria, io invece mi sono concessa il lusso di rifiutare tutte quelle case editrici che, in cambio di una cospicua somma di denaro, mi promettevano la pubblicazione e un’ottima campagna promozionale, ho sempre creduto nella forza del mio romanzo, ho sempre creduto che non avessi bisogno di pagare per pubblicare e non ho mollato, sperando di riuscire a trovare un editore che credesse quanto me nella fragile eroina che la mia fantasia ha saputo creare dal nulla, all’improvviso e senza alcuna premeditazione. Sono stata davvero molto fortunata, perché a differenza di molti altri aspiranti scrittori appena pochi mesi dopo la stesura della storia sono riuscita a trovare un editore onesto, Carlo Santi della Ciesse edizioni di Padova, che ha subito creduto nel mio lavoro e lo ha pubblicato senza chiedermi alcun tipo di contributo, lo ringrazio dal profondo del cuore per questa grande opportunità che mi ha dato, così come ringrazio teneramente la mia maestra delle elementari, la signorina Lucia che ora mi guarda dal cielo, per avermi trasmesso l’amore per la scrittura. Spero che questo sia soltanto l’inizio del mio sogno, perché scrivere per me è la cosa più importante, mi da una forza e un’energia che nessun’altra cosa riesce a regalarmi. Lo so che la strada di un autore emergente è in salita e che non si può arrivare subito al grande successo, ma sono anche consapevole che quando alla base c’è una profonda passione come la mia, allora quasi niente è impossibile. Il 2 luglio Fortuna ha fatto il suo esordio in libreria e attualmente è al quinto posto nella top ten della Ciesse, spero che i lettori possano continuare a volerle bene e a ricevere almeno la metà delle emozioni che ho ricevuto io portandola alla luce con fatica e un pizzico di sano dolore come succede a qualsiasi giovane madre che dà alla luce un figlio.

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Fortuna, il buco delle vite
Jolanda Buccella
Ciesse edizioni
Pagine 592
Prezzo di copertina € 22,00