Rosaria Iodice: come il patriarcato ha sottomesso la donna

Rosaria Iodice è da sempre appassionata di scrittura, pittura, arte e musica. La donna lumaca racconta la storia di Angela, una donna che nasce negli anni Trenta e affronta ogni difficoltà per affermare se stessa in un periodo storico difficile. Il suo romanzo delinea anche le diverse generazioni che hanno vissuto la stessa epoca della protagonista, toccando il tema del femminicidio. L’abbiamo incontrata, ci ha parlato di sé, com’è nato il suo libro e come una donna ha il diritto di liberarsi dalle catene psicologiche e morali che la allontanano da se stessa, smettendola di essere ancora perdente.

La donna lumaca, un libro con una trama complessa, di cosa si tratta?
La donna lumaca è la storia di Angela. Nata negli anni Trenta, al tempo della seconda guerra mondiale, si ritrova ad affrontare settant’anni di pregiudizi che attraversano la storia italiana. Cerca in tutti i modi di affermare se stessa, nonostante la condanna sociale si propone sempre come il metro di valore della sua e altrui vita. Vive numerose esperienze che la portano costantemente a confrontarsi con il concetto di famiglia, di amore e di coraggio. Dall’aborto, al divorzio, alla maternità fino a giungere ai temi della diversità, attraversa tutto quello che era naturale incontrare per le donne che hanno vissuto in quel periodo storico. Come la lumaca, porta sulle sue spalle il carico della sua vita, la responsabilità di scelte che la segneranno per sempre, ritraendosi ogni volta che incontra un ostacolo sul suo cammino. La donna lumaca è un libro introspettivo in cui la protagonista, ormai anziana e finita in una casa per sbandati, ripercorre la sua vita attraverso i ricordi di una vita intera, in un finale che non sarà per nulla scontato e che anzi appassionerà molto i lettori. Un libro sul coraggio e sulla capacità di essere il nostro disegno fino in fondo.

Come è nata l’idea di scrivere il libro?
Due sono stati gli elementi fondamentali. Il primo: un periodo vedevo sempre all’uscita da lavoro una clochard che usciva dal centro diurno di Bari intenta a distribuire cibo ai gatti randagi vicino alla stazione. Era una persona molto dignitosa che trascinava dietro di sé un carrello con tutte le sue cose, da qui l’immagine della lumaca che è diventato il titolo del libro. Il secondo elemento: il compleanno per gli ottanta anni di mia madre. Ero a tavola a festeggiare con tutta la mia famiglia, quando per un istante l’ho guardata con occhi diversi. Mi sono resa conto di come la storia di molte donne rischia di essere cancellata con la fine della loro vita. La donna lumaca è la storia di tante generazioni di donne che hanno vissuto nella stessa epoca della protagonista.

Angela è una donna che vive in un periodo storico che la costringe a vivere la sua vita buttandosi nella menzogna, come mai le ha dato questa caratteristica?
Angela è chiaramente un personaggio di finzione. Per cui ho tentato di darle un’identità che mi permettesse di mettere a fuoco un tema a me caro: il prezzo che paghiamo quando rinunciamo a noi stesse. Da questo punto di vista ritengo di aver centrato l’obiettivo, riuscendo a costruire un personaggio capace di trasmettere i sentimenti di una donna che viene azzerata dal peso delle convenzioni.

Per lei cosa rappresenta la scrittura?
Scrivo perché è liberatorio e mi piace. Mi permette di tirare fuori emozioni, esperienze, rielaborandole e mettendole su carta. In certi momenti la scrittura è il mio demone personale. Nel momento in cui sento che personaggi e storie chiedono di uscire dalla mia interiorità potrei passare giorni a scrivere e assentarmi dal mondo esterno. Mi piacerebbe poter vivere della mia scrittura. Questa mi dà la sensazione che esiste qualcosa di più grande al di fuori del tangibile. Mi sento parte di un processo creativo che va oltre me e che attinge direttamente a quella che è la “coscienza collettiva” come la chiamava Jung.

In questo periodo il femminicidio è ancora, purtroppo, all’ordine del giorno: come pensa che si possa combattere?
Leggi e carcere arginano il fenomeno ma sicuramente non lo risolvono. La perdita di identità che comporta la crisi attuale che riduce i campi di potere in cui maggiormente gli uomini si identificano, come il lavoro, è frutto di un problema fondamentale che ci trasciniamo da tempo. Sinceramente io credo che bisogna partire proprio dalle donne, perché è pur vero che un uomo ha una madre. Liberandole dal senso di inferiorità, dall’idea che per essere buone madri necessariamente bisogna aderire a un certo modello e trasferirlo nel latte materno ai figli. Non ci è ancora chiaro il concetto di cosa significa rispettare le peculiarità di genere integrandole e non contrapponendole. Gli uomini non hanno ancora compreso che recuperare il lato femminile che è in ognuno di loro è una conquista e non una perdita, le donne non hanno ancora compreso che integrare un senso maschile del vivere con un maggiore capacità di interagire alla pari con gli uomini, non significa essere cattive madri o cattive mogli ma soltanto riuscire a essere se stesse. Senza questi passaggi difficilmente gli uomini riusciranno a liberarsi di un senso della territorialità che è un percorso primitivo, dove ciò che non è mio non sarà di nessun altro. La donna non è un territorio attraverso cui stabilire la propria identità, è una possibilità, uno specchio in cui poter riconoscere gli elementi dello yin e dello yang. Poter vedere e ritrovare l’universo che è dentro ogni essere umano. Ma questo vale anche per le donne in un percorso inverso e complementare.

Cosa pensa della donna di oggi?
La donna di oggi è una donna ancora perdente. Specialmente in Italia, perché altrove è diverso. Una donna che se a parole ha compreso qualcosa su se stessa, nei fatti non riesce a reggere. La pressione sociale di una chiesa cattolica che immagina la donna agli antipodi, come santa o prostituta come la Maddalena, ci pone di fronte a un vuoto di identità che le donne fanno fatica a ricostruire. Cosicché mentre il mondo va avanti, siamo ancora a interrogarci cosa possiamo e perché. Dimenticandoci che il matriarcato di un tempo contemplava la figura della dea madre. Il patriarcato non è stato altro che un atto iconoclasta maschile. Ma le donne nel tempo moderno più che aspirare a essere messe su un altare, dovrebbero semplicemente rendersi conto che le società più equilibrate sono proprio quelle dove il loro ruolo viene rispettato. E dunque farsi rispettare senza per questo adottare i modelli maschili fallimentari.

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice