Mprestimi a tò muggheri – Peppe Anzalone

La scuola e la parrocchia sono i nidi in cui sono cresciuti gli attori del teatro amatoriale, non solo del comune di Regalbuto, (in provincia di Enna) ma forse di tutti i comuni e le borgate italiane.
Ognuno ricorda la Maestra, il Maestro o il Prete che impartivano le prime lezioni di recitazione, quando assaporavano lo scroscio degli applausi di fine anno, del ciclo degli studi, nell’androne della scuola o nella sala parrocchiale.

Di tempo ne è passato, qualcuno ha famiglia, c’è chi studia, chi lavora e chi fa il disoccupato, ma quella passione della recitazione rimane in quegli ex ragazzini, che ora tutti chiamano “amatori” e “amatoriale”, il teatro che fanno, un aggettivo che qualifica entrambi. Questi giovani attori, qui, sono sotto la tutela benevola della scuola lasalliana, la quale tende a mantenere vivi quei valori comunitari che aiutano la società a crescere culturalmente. Per questo, già dal 2006, è nato il gruppo teatrale “La Salle”, ma l’organizzazione lasalliana, a Regalbuto ha catalizzato ogni attività riguardante i giovani, dallo sport a quella culturale, alla ricreazione, all’arte pittorica, serigrafica e al Teatro.

Questa volta i riflettori si sono accesi sui giovani di La Salle in scena, tutte persone che, sera dopo sera, finito il lavoro, lo studio o gli impegni familiari, in forma volontaristica, con l’amore per il teatro, contribuiscono alla crescita culturale e sociale dell’ambiente. Il teatro, però, di solito non fa notizia, ma l’attore riesce ad innestare con l’ambiente quell’humus sufficiente a richiamare l’attenzione del pubblico, credendo che esso sia l’altro interlocutore, colui con il quale ci si incontra e si dialoga; l’applauso del pubblico è ciò che per un momento fa dimenticare la fatica, l’impegno, il sudore, le arrabbiature e certe volte le lacrime, soltanto per quel “bravo” o “brava” scanditi dalla platea.

La commedia brillante di Peppe Anzalone, recitata nel suggestivo Teatro Urania, è un po’ scottante, almeno nel titolo, se si considera che ci troviamo in Sicilia, patria dell’altra commedia drammatica, quella della Cavalleria rusticana; questa è una commedia brillante opposta alla trama della Cavalleria rusticana, ambientata nel palermitano, terra dell’autore, dal titolo Mprestimi a tò muggheri.

Nonostante la società si sia evoluta rispetto al tradizionale matrimonio patriarcale che reggeva la famiglia, oggi, le famiglie sono fatte di coppie che convivono, di coppie di fatto, coppie omo e lesbo e anche di coppie di scambisti, che con la parità dei sessi, sono diventate di moda anche nella Sicilia di cunpari Turiddu e cumpari Alfiu, di donna Lola e Santuzza.

Il titolo della commedia di Peppe Anzalone ha richiamato l’attenzione anche di quelle persone abituate a vedere professionalità teatrali più elevate. Mprestimi a tò muggheri, la dice lunga:

meno male che siamo al teatro, dice qualcuno all’amico, perché, dice l’altro, questo prestito della moglie ti sembra impossibile? Ma finiscila…l’amore non si presta…tu lo dici!…e l’altro di rimando…un giorno ho chiesto ad un amico se mi prestava la macchina, sai che cosa mi ha detto per tutta risposta?…Se vuoi mia moglie prendila, ma la macchina no! Ma è un modo di dire, esclama il primo…una volta sì, era un modo di dire, adesso è un modo di fare!

Si potrebbe pensare che la commedia Mprestimi a tò muggheri nasconda qualcosa di reale, qualcosa che potrebbe accadere realmente negli ambienti lavorativi o, in modo virtuale, nel web o su Facebook. Spesso l’arte teatrale è una finzione, portata in palcoscenico, per fare coesistere il reale con il virtuale, il luogo dove l’arte diventa il crocevia di odi e amori, di pianti e risate.

Il senso virtuale di questa recita si consuma nella bravura degli attori della La Salle, nel rappresentare qualcuno o qualcosa, come quel Peppe a cui viene chiesta in prestito la moglie Mariannina, la moglie prestata, per un errato convincimento del concetto di amicizia, ma il senso reale delle cose correva nella platea, fra il pubblico, nel momento in cui esso condivideva e si immedesimava nei sentimenti degli attori e, addirittura, se ne appropriava, come quando si fa il copia e incolla su Facebook.

Mentre i due amici, seduti accanto, in platea ancora replicavano:

ma vero?! Quello ti voleva prestare la moglie in cambio della macchina? L’atro, ora stai zitto, non disturbare, fai silenzio, fammi vedere come si fa a prestare la moglie…

In quel momento l’attore, interpretando il personaggio non solo in modo caratteriale ma anche psicologico, previsto dal copione dell’autore, diviene anch’esso personaggio a palco, in uno scenario che potrebbe non essere finzione per un pubblico che lo guarda in modo naturale e semplicistico, come quello di prestare la moglie al posto della macchina…

Così il segreto della riuscita di questa commedia brillante, di Peppe Anzalone, è da ricercare nel talento degli attori, guidati da una Donatella Guardione alle prese con un adattamento ambientale della commedia, immessa in una bella scenografia che dava un senso spaziale ampio, a supporto di tutto il cast, nel susseguirsi delle scene.

Peppe Nappa (Vito Fabio) è il personaggio, prettamente siciliano, chiave della commedia, un po’ riadattato dalla regia che gli aggiunge un pizzico di astuzia e doppiezza in più, tolta, invece, a suo cognato Felice (Giuseppe Saitta), il quale svolge il proprio ruolo immesso in una assonnatezza continua e sempre alla ricerca di cibo. Entrambi gli attori superano la prova per lo lo stile di recitazione e la mimica facciale, specie nelle contestazioni di atteggiamenti che caratterizzano l’intensità e la forza espressiva, dovuta ai loro ruoli molto complessi, svolti in modo da restare distinti e autonomi sulla scena, senza diminuire il ruolo di primo piano di Peppe, così come voluto dal copione, facendolo dividere, invece, con Giovanni (Sergio Politi), dinamico personaggio, dalla postura movimentata e dalla modulazione di voce appropriata alle emozioni, colui che ha chiesto a Peppe, in prestito, la moglie Mariannina (Giusy Migliastro), per non perdere una eredità dello zio d’America (Vincenzo Cardaci), brillanti interpreti assieme alla segretaria Celestina (Irene Migliastro), contraddistintesi per mimica e tonalità di voce corposa nel simulare la classica parlata degli italo-americani.

Nell’ambito femminile la comprimaria di Mariannina è Rosalia (Monia Liuzzo S.), moglie di Giovanni, costretta a recitare il ruolo di moglie abbandonata fittiziamente, entrambe seguite dal pubblico con curiosità. Poi c’è zia Rosetta (Giovanna Di Pasquale), che sfoggia una appropriata dizione e note caratteriali appartenenti ai classici personaggi del “curtigghiu” siciliano, insieme alla vicina di casa (Ivana Liuzzo S.), non di meno degli altri attori pur svolgendo un ruolo secondario con il notaio (Arturo Miceli), pronto a certificare la verità dei fatti e che, in ultimo, mette in evidenza il prestito fittizio della moglie di Peppe.

Tutto il cast fa rivivere la famiglia siciliana di un tempo, compresa la delusione dello zio d’America…e, in conclusione, viene accolta con gli applausi degli spettatori, mentre i due amici, in platea, si guardavano e, ammiccando, uno diceva all’altro:

Te l’ho detto io…tutti dicono di preferire di prestare la moglie anziché la macchina…secondo me quello non ti voleva prestare né la macchina e né la moglie…

Tra finzione e realtà il dialogo fra attori e pubblico è durato fino alla fine dello spettacolo, un dialogo percepito dagli attori in scena e interrotto dall’applauso finale, mentre da una città del nord giunge la richiesta di replica di Mprestimi a tò muggheri.

 

Franco Santangelo

Critico e Storico