Il decadimento demenziale – Hans Spinnler

Questo tipo di patologia è chiamata con diversi nomi: malattia di Alzheimer, morbo di Alzheimer, demenza presenile di tipo Alzheimer, demenza degenerativa primaria di tipo Alzheimer o semplicemente di Alzheimer.
È la forma più comune di demenza, una forma degenerativa invalidante con esordio prevalentemente in età presenile e cioè intorno ai 65 anni, infatti rari sono i casi al di sotto dei 65 anni, la sua incidenza aumenta con l’aumentare dell’età, con una una diffusione maggiore nella popolazione oltre gli 85 anni. Trattasi di un deterioramento cognitivo cronico progressivo. Tra tutte le demenze quella di Alzheimer è la più comune.
Il nome alla patologia effettivamente viene dato nel 1901, dal dottor Alois Alzheimer, uno psichiatra tedesco. Egli infatti, visitando una sua paziente, la signora Auguste D., di 51 anni, mostrandole parecchi oggetti e successivamente domandandole che cosa le era stato indicato, si rese conto che la paziente non era in grado di ricordare. Inizialmente il dottor Alzheimer diede il nome a tale manifestazione di “disordine da amnesia di scrittura”, ma in realtà la signora Auguste D. risultò essere la prima paziente a cui venne diagnosticata la malattia di Alzheimer.
Negli anni successivi si registrarono in letteratura scientifica altri undici casi simili e nel 1910 la patologia venne inserita per la prima volta dal grande psichiatra tedesco Emil Kraepelin, nel suo classico Manuale di Psichiatria, venendo da lui definita come “Malattia di Alzheimer”, o “Demenza Presenile”.
La malattia di Alzheimer è un processo degenerativo che compromette man mano le funzionalità delle cellule cerebrali, portando l’individuo che ne è affetto a non poter condurre più una vita normale e progressivamente alla morte.
La diagnosi viene effettuata con indagini tecniche, quali risonanza magnetica o tac cerebrale, che permettono di escludere altri tipi di demenza e altre patologie del sistema nervoso, potendo seguire anche i peggioramenti della malattia, da decadimento cognitivo lieve a conclamarsi della patologia.
Utile aiuto nel completamento della diagnosi sono i test di screening neuropsicologico; questi valutano le diverse funzioni e le competenze cognitive, come il saper copiare disegni simili a quelli mostrati nella foto, ricordare parole, leggere e sottrarre numeri in serie.
Tipico è il Test neuropsicologico come il Mini Mental State Examination (Mmse), utile nella prima fase della malattia
L’esame neurologico nelle prime fasi della malattia presenta risultati normali, evidenzierà solo deficit cognitivi che non differiscono però da quello derivanti da altre malattie di tipo demenziale.
Possiamo parlare di sintomi quali: dimenticanze occasionali e oggetti messi nel posto sbagliato; ciò fa riferimento a demenza senile ma non Alzheimer. Infatti in quest’ultimo avremo un primo stadio durante il quale si ha perdita di memoria a breve termine e dimenticanza di fatti accaduti e i cosiddetti vuoti di memoria. Si verificherà poi un cambiamento della personalità dell’individuo che sarà notato dai famigliari e sia in casa che al di fuori. Mentre nella semplice demenza avremo episodi di distrazioni e magari dimenticanza degli appuntamenti.
Nello stadio avanzato della patologia, l’individuo inizia ad essere confuso in molte occasioni, inizia ad avere difficoltà della parola e non riesce a iniziare o a trattenere una conversazione, non riesce a trovare le parole e comporre le frasi producendo frasi sconnesse e senza senso.
Avrà quindi deficit cognitivi molto gravi con disorientamento nel tempo e nello spazio e difficoltà a riconoscere i propri famigliari; questa è la fase, il momento più significativo della malattia perché i figli, il marito o la moglie conviveranno con una persona nuova, una persona che vive in un mondo tutto suo e in parallelo con quello della gente che sta attorno; nessuno riuscirà ad entrarne, a farne parte e nessuno riuscirà a capire dove la mente e i pensieri dell’individuo vanno e che direzione hanno preso. Tra l’altro il paziente inizierà a non avere cura della propria persona; diventerà più aggressivo più violento, ma anche ansioso e paranoico.
Le fasi iniziali della malattia di Alzheimer sono difficili da diagnosticare. Di solito viene fatta diagnosi definitiva quando si ha già una significativa compromissione cognitiva e una percepibile riduzione di capacità di svolgere le attività della vita quotidiana, anche se la persona è ancora in grado di gestirsi autonomamente.
L’aspettativa di vita per questi pazienti si riduce a circa sette anni dopo la diagnosi. Meno del 3% della popolazione vive più di 14 anni. Altre patologie concomitanti, come problemi cardiaci, diabete o storia di abuso di alcool, sono correlate con una sopravvivenza più breve. L’aspettativa di vita è particolarmente ridotta rispetto alla popolazione sana quando la malattia di Alzheimer colpisce coloro che sono più giovani. Gli uomini hanno una prognosi di sopravvivenza meno favorevole rispetto alle donne.
La malattia è la causa di morte nel 70% dei casi. La polmonite e la disidratazione sono le cause immediate più frequenti di morte, mentre il cancro è meno frequente rispetto alla popolazione generale.
È difficile prevenire tale malattia, studi hanno dimostrato correlazioni tra alcuni fattori,come l’alimentazione, il rischio cardiovascolare, l’utilizzo di prodotti farmaceutici, o lo svolgimento di attività intellettuali, e la probabilità per una popolazione di sviluppare la malattia.
Sebbene i fattori di rischio cardiovascolari, ipercolesterolemia, ipertensione, diabete e fumo, siano associati con un rischio maggiore di insorgenza della malattia, i componenti della dieta mediterranea, frutta, verdure, pane, grano e cereali, olio di oliva, pesce e vino rosso, possono singolarmente o tutti insieme contribuire a ridurre il rischio e ritardare il decorso della malattia di Alzheimer.
Una regolare attività intellettuale, la lettura, i giochi da tavola, i cruciverba, l’esecuzione di strumenti musicali, una regolare interazione sociale, mostrano una riduzione del rischio di sviluppo della malattia di Alzheimer. Ma anche lo studio di una seconda lingua in tarda età e l’attività fisica ne riducono il rischio.

Il decadimento demenziale
Hans Spinnler
Il pensiero scientifico, 1985

 

Graziella Rulli

Medico Medicina Generale