Marco Di Tillo: dal cinema alla scrittura, e viceversa

Scrivere copioni, per televisione, radio, fumetti, cinema, oggi sembra un’operazione irraggiungibile, i tempi sono cambiati, così come anche la qualità, di gran lunga migliore un tempo. Marco Di Tillo ama definirsi scrittore, anche se poi ha una laurea in Psicologia e nel suo curriculum ci sono due film per il cinema. Lo abbiamo conosciuto, in primis, in occasione dei suoi gialli, del suo ispettore romano Sangermano e della passione per la scrittura innata.

La scrittura cosa rappresenta per lei?
L’aria. Non potrei vivere senza scrivere. Fin da piccolo mi piaceva il contatto quasi fisico con le parole messe su carta, mi veniva naturale. Mi sono laureato in Psicologia, ma non ho mai fatto lo psicologo, ho preferito appunto scrivere programmi radiofonici e televisivi per la Rai. Allora si scrivevano proprio i copioni con le battute, i monologhi, le domande e gli attori e i conduttori erano tenuti a dire quello che l’autore aveva scritto e ideato. Altri tempi. Oggi  l’autore è solo uno che prepara qualche domanda e, soprattutto, quello  che cerca gli ospiti da invitare. Ho scritto per la radio, la televisione, i fumetti, il cinema, le riviste e oggi scrivo i gialli con protagonista l’ispettore romano Marcello Sangermano. L’anno scorso è anche uscito negli Stati Uniti il thriller in inglese The Other Eisenhower basato su un fatto storico realmente accaduto durante la seconda guerra mondiale.

Uno scrittore a cui è legato?
Ce ne sono tanti, naturalmente. Per restare in tema di gialli negli ultimi anni ho adorato gli scandinavi. Soprattutto Henning Mankell, Arnaldur Indridason, Hakan Nesser. I loro libri non sono solo dei polizieschi ma ritratti psicologici completi del protagonista e degli altri personaggi. Non ci sono solo le azioni, gli inseguimenti, le sparatorie ma, e soprattutto, i pensieri, i dialoghi, i ricordi, i silenzi. Tutto quello che, nel mio piccolo, cerco di fare anche io, con il mio lavoro e con i miei libri. Poi lo scrittore veramente bravo è quello che nelle primissime pagine dei suoi libri ti cattura subito. E in questo non c’è nessuno bravo come Ken Follett, tanto per restare nel genere.

«È una torrida mattina d’estate quando nel Seminario Pontificio di Roma è rinvenuto il cadavere di un giovane seminarista. Accanto al corpo un paio di cesoie insanguinate e un dito mozzato. A investigare sul caso sono chiamati gli uomini dell’Uocs, l’unità di polizia operativa per i crimini seriali, capitanata dall’ispettore Marcello Sangermano, poliziotto dal cuore tenero ma deciso», un giallo curato nei dettagli, come è nata l’idea di scriverlo?
Dodici giugno è il secondo libro della serie dell’ispettore Sangermano. Il primo, Destini di sangue, è uscito lo scorso anno. Il terzo uscirà il prossimo e così via. Il mio è un ispettore un po’ particolare. Insegue per lavoro spietati serial killer ma nella vita privata si occupa di centri d’ascolto per le famiglie e del reinserimento di ragazzi ex tossicodipendenti. Quello che mi premeva era parlare di una categoria, quella dei poliziotti, troppo spesso bistrattata soprattutto da un certo tipo di stampa. Ci sono delle bravissime persone tra di loro, invece, e il mio ispettore è una di quelle. Lui è romano, è andato a scuola al liceo Virgilio di via Giulia. La sua vita, i suoi ricordi e spesso anche le sue indagini partono tutte da qua. E il Vaticano non potevo certo lasciarlo fuori. L’ultima indagine, con i giovani seminaristi uccisi, ha a che vedere anche con ciò che questo nuovo bravissimo Papa sta cercando di fare nella sua Chiesa, con una grande fatica, purtroppo.

Scrittura e altre passioni?
Nella mia vita di passioni ne ho avute tante e forse mi sono anche un po’ disperso. Ho sempre un po’ invidiato quelli che si sono concentrati su una cosa sola da fare.
Da ragazzo giravo i film in Super 8 nello stesso Cineclub di Nanni Moretti. Lui voleva fare il regista e basta. Aveva le idee chiare. Io invece no. Sono passato dai fumetti al cinema, dalla radio alla televisione, ho scritto anche testi per canzoni. Ho sempre una gran voglia di fare e di provare nuove cose. L’unica cosa che mi è mancata è il teatro. Adoro lavorare con gli attori e, nella mia carriera un po’ strana, ho girato anche due film per il cinema: Operazione pappagallo, giallo per bambini scritto insieme a Piero Chiambretti e Un anno in campagna, storia di un gruppo di ragazzi che decidono di abbandonare la città e di mettersi a fare i contadini.
A tempo perso scatto fotografie in bianco e nero. Qualcuno le ha definite buone. Fotografo la gente, dovunque vado. Per il resto adoro il calcio e il tennis, ancora oggi, a più di 60 anni, gioco regolarmente almeno un paio di volte alla settimana.

Dei suoi libri quali ama di piú?
Posso dire l’ultimo, Dodici giugno? I miei personaggi, non solo il protagonista Sangermano, cominciano ad avere ognuno una storia personalizzata, dei caratteri già ben definiti, anche se ancora tutti da sviluppare ulteriormente nelle puntate successive. Però mi erano anche molto piaciuti i libri per ragazzi che ho scritto in passato, come ad esempio Il giovane cavaliere (Einaudi), ambientato nella Firenze dei Medici e anche Mamma Natale (Mursia), con protagonista la simpatica sorella di Babbo Natale. Come i figli, io ne ho tre, ogni libro è amato dal suo papà, no?

Tre aggettivi per descriversi?
Curioso di nuove cose da fare, innamorato del passato come tutti quelli nati segni del Cancro, falsamente pigro ma mia moglie non la pensa così, lei dice che sono pigro e basta.

 








Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice