La periferia romana di Gino Pitaro

Torna con un nuovo romanzo Gino Pitaro, dove racconta di periferia, che ha smesso di essere solo un luogo geografico ma rappresenta oggi un vero e proprio luogo di mescolanze, interazione, insomma qualcosa che distingue socialmente i suoi abitanti. Benzine, edito da Ensemble lo scorso 2015 racconta della periferia romana, quella di Pier Paolo Pasolini, formata da bande sociali che oggi però hanno assunto una diversificazione tra la gente del popolo. Lo abbiamo incontrato, ci ha raccontato della sua gente, di dove vive e ovviamente della sua passione per la scrittura.

Benzine, è il tuo nuovo libro, come è nata l’idea di scriverlo?
In realtà era diverso tempo che volevo scrivere un libro che affrontasse temi trasversali come il lavoro, la criminalità, la vita nelle periferie, e desideravo farlo da una certa prospettiva, diversa da I giorni dei giovani leoni, il mio primo romanzo. L’idea di fondo è emersa dal fatto che molta letteratura sul genere aderisce a uno stereotipo di fondo, positivo o negativo. La periferia è altro, un luogo di mescolanze, di interazioni, di degrado ma anche di progresso, di attivismo. Insomma, per farla breve questa storia e i suoi personaggi ispirati alla realtà premevano per farsi conoscere. Avvertivo la pressione, ripeto, di questo romanzo su di me, qualcosa che ambiva a uscire, a farsi libro. Un romanzo libero da alcune tendenze radical chic.

Il luogo dove è ambientato è la periferia romana, quella di Pier Paolo Pasolini, come mai questa scelta?
È il luogo dove vivo e delle mie percorrenze. Le periferie sono l’anima più autentica della città, non solo secondo l’immagine comune della veracità delle persone, ma anche in senso progressista, di idee e stimoli. Il concetto stesso di periferia si è modificato, passando da uno status geografico, giustificato dalla lontananza e dalla difficile percorrenza con i mezzi pubblici, a quello umano ed esistenziale. Seppur lentamente la rete di collegamenti migliora e la periferia geografica si sposta altrove, permane però l’identità di periferia, che poi anche questa cambia pelle.
L’identità della periferia e della provincia adiacente a Roma è stata determinata da scelte sociali più che geografiche. Per esempio, un quartiere come Tor Bella Monaca in passato si è formato partendo da ‘bande sociali’ dove bisognava dimostrare di avere in famiglia squilibrati mentali o cerebrolesi. Questo stigma ha orientato poi nel corso del tempo il modo di vedere se stessi, il formarsi della propria identità sociale. Oggi Tor Bella Monaca è abitato da una realtà sempre più varia e complessa, la nuova metro, alcune iniziative e soprattutto l’idea di trovare appartamenti a buon mercato lo hanno trasformato, ma è anche un quartiere dove ci sono mille persone agli arresti domiciliari, più o meno come il ‘mio’ San Basilio.

Tre aggettivi per  descrivere te e il libro?
Stupendo, fantastico, travolgente… scherzo. Direi che è un libro vero, umoristico, congegnato. Tuttavia credo che gli aggettivi su un’opera siano un privilegio del lettore, il quale però deve fare un piccolo gesto di fiducia ogni volta che sceglie un libro, qualunque esso sia.

Cosa significa per te scrivere?
Una necessità. L’anello vero di congiunzione tra me e il mondo, quindi la maniera migliore in cui esprimo me stesso.

Il pubblico come risponde?
Molto bene, per fortuna, e il fatto che sia da subito disponibile sia in cartaceo che in ebook ha aumentato i lettori complessivi rispetto alle mie prove precedenti, cioè I giorni dei giovani leoni e Babelfish – racconti dall’Era dell’Acquario, che pure sono andati in modo soddisfacente. Babelfish poi tempo fa venne reso disponibile pure in ebook, dopo circa un anno e mezzo dalla sua uscita in cartaceo.

 

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice