La fragilità delle certezze – Raffaella Silvestri

La fragilità delle certezze è il titolo del nuovo libro di Raffaella Silvestri, edito da Garzanti. Se da un lato è perfettamente esplicito – nel senso di dare un’indicazione tematica completa – dall’altro è come un involucro colorato che nasconda, più che svelarla, la sostanza: perché arrivati in fondo al romanzo si potrebbe anche scoprire che è antitetico, e che se anche questa “fragilità” imperversi, lasciandosi osservare e facendo i danni che può, alla resa dei conti viene però scalzata, con uno scrollone capace di aprire a nuovi equilibri.

È un romanzo che inizia in medias res, alternando capitoli brevi e capitoli lunghi e capitoli al presente e capitoli al passato, che fanno pensare a una lama di luce attraverso l’acqua, strato dopo strato: la storia di tre trentenni milanesi, due uomini e una donna, diversi tra loro per estrazione sociale e per un vissuto personale che anche in questa storia si rivela poi essere il movente sotteso a qualsiasi scelta individuale critica.
Anna è una donna che “arriva con quell’aria di una che ha corso, come al solito, come se la giornata fosse troppo per lei, per una persona sola, l’aria di chi le complicazioni se le va a cercare di proposito”. Ha degli studi universitari alle spalle, qualche ombra che si porta addosso dal liceo, una famiglia benestante che pur sostenendola economicamente sembra non aver mai compreso la sua irrequietezza, e un’intelligenza acuta, tenuta a bada come fuoco sotto la cenere dall’abitudine al rinunciare, al non essere decisiva, risolutiva. Marcello è il compagno di banco dei tempi delle versioni in classe, quel pugno di anni fondamentali in cui “si comincia a scrivere una storia, la storia che diventerà narrazione comune: e ogni ricordo, ogni matita rubata o persa, ogni dizionario di greco lasciato sul tram, ogni compito in classe passato su un foglietto, tutto, tutto questo diventerà epica, mentre il presente sarà romanzo”. Un giovane uomo colto, positivo, tenace, pronto a dare sostegno, a condividere, che ha maturato parte della propria identità attraverso l’esperienza della vita all’estero, quando ancora andare a studiare negli Usa non era una moda ma un atto di affermazione ben preciso, quello stesso che nonostante le soddisfazioni personali raccolte in America fa tornare Marcello in Italia, e precisamente a Milano, cuore e centro di tutto il romanzo. Poi c’è Teo, diminutivo di Matteo Arnaboldi, il figlio del potere, uno che “ha la postura di chi è abituato a possedere le cose, non a condividerle con gli altri. Niente car-sharing, co-working, smart-living; non c’entra, lui, con queste schiere di trentenni confusi che condividono il banco di lavoro come la mensa alle elementari”. E Matteo è uno studio di personalità maschile a tutto tondo di una abilità pura: il personaggio senza sbavature, senza contraddizioni interne, interamente credibile nel proprio retaggio di privilegiato e interamente credibile e interessante nelle sue strutture limpide di pensiero, nelle sue frasi scarne, armoniche, soppesate, nella propria essenza di maschio silenzioso e sicuro, autoconcluso come un eroe omerico.
Le vite di questi tre giovani si legano a causa del lavoro, un progetto pionieristico di consulenza finanziaria: la professione, la professionalità, la ricerca, la stabilità (persa, vagheggiata, inseguita) sono tematiche fondamentali, sulle quali si articola la lettura del presente da parte dell’autrice e sulle quali si innestano lucidi spunti di analisi delle relazioni tra persone e delle dinamiche familiari e sociali, con uno sguardo capace anche di guardarsi indietro, una, due, più generazioni fa.

Lo stile pulito, raffinato, preciso che racconta questi tre personaggi nella loro crescita e al loro punto di intersezione è lo stesso che tratteggia i due ritratti “autonomi” di Alice Moltrani, professoressa di Anna al liceo, e Valerio Bonfanti, docente universitario e regista teatrale dal sapore esoticamente romano.

C’è tutta una Milano, attorno, dalla quale non si può prescindere, e che è la vera protagonista del romanzo. Amata e compresa nelle sue sfaccettature e nei suoi ritmi anche quando viene redarguita, cosa che può accadere solo dopo una grande riappacificazione. Questa atmosfera unicamente ambrosiana, struggente, intimamente vera, devo averla percepita solo in qualche reminescenza universitaria (saggi di Giovanna Rosa, un catalogo di una mostra milanese sul Bramantino…): qui questa atmosfera è drammatizzata, diffusa, nei gesti, nelle osservazioni, anche rapide, come quando si dice che “l’inverno a Milano è una stagione lunga, in cui succedono la maggior parte degli eventi importanti della vita di chi ci vive. Perché d’estate, se sei di Milano, non sei a Milano. Soprattutto quando sei giovane. È così che tutte le cose importanti a Milano succedono d’inverno. Diventi grande d’inverno, a Milano”.
Ancora da segnalare le bellissime pagine dedicate alla casa di Montecarlo, e la delicatezza del momento in cui Teo riconosce in Anna un gesto appartenente alla propria madre, nodo sottotraccia ma decisivo, quasi un’agnizione.
Un libro particolarissimo, che si muove quasi più dentro che fuori, animato da una rarissima forma di equilibrio, di misura. E che reca chiara l’eco di una voce che ha da dire delle cose.

 

La fragilità delle certezze
Raffaella Silvestri
Garzanti, 2017
Pagine 288
Cartonato € 16,00

Teodora Dominici

Articolista, collaboratrice editoriale free-lance e scrittrice in pectore