Gli anni del nostro incanto – Giuseppe Lupo

Gli anni del nostro incanto di Giuseppe Lupo (Marsilio Romanzi, 2017) personifica in maniera evocativa quella vita sbarluscenta che si viveva nella Milano degli anni Sessanta. Aggettivo che racchiude perfettamente in sé quell’alfabeto di periferie e quell’incanto di luci di un capoluogo lombardo d’altri tempi, a cui il romanzo è dedicato.

Degli anni Sessanta si ha nostalgia (anche se alcuni ne hanno solo sentito parlare), perché hanno segnato il passaggio dell’Italia da paese rurale a industrializzato. Il trasferimento di massa verso centri nevralgici e sviluppati economicamente ha fatto il resto, decretando l’era del boom economico, dove si poteva acquistare la Cinquecento con le cambiali, o la cucina Salvarani, sogno di tante casalinghe. Era un’Italia che guardava il festival di San Remo e cantava le canzoni di Mina e di Luigi Tenco, mentre si preparava allo sbarco sulla luna, sintonizzata davanti a uno schermo incolore. Non vi era scelta di canali, è vero, ma la gente sapeva sempre di cosa parlare, perché si condividevano gli stessi programmi.

Bei tempi! Viene proprio da dirlo. Sebbene quest’era di prosperità abbia avuto la sua “altra faccia della medaglia” nel terrorismo, rappresentata dalla strage di piazza Fontana e sfociata nei cosiddetti anni di piombo, dove il clima di angoscia (e forse anche di delusione per il fatto che l’era dei sogni fosse finita così presto), persisterà a lungo. Altre stragi colpiranno purtroppo il nostro stivale, nonostante la Milano modaiola emersa negli anni Ottanta, tutta “da bere”.

La storia che ci racconta Giuseppe Lupo parte proprio da una fotografia in bianco e nero, pubblicata su un rotocalco, che ritrae una classica famiglia a bordo di una vespa, diretta in Piazza Duomo – sullo sfondo spuntano inequivocabili le guglie del Duomo di Milano. Tale foto, serve da espediente per narrare la vicenda di un nucleo familiare come tanti, che negli anni Sessanta ha trovato la sua dimensione nel capoluogo lombardo. Il padre Luigi, detto Louis, operaio di origini meridionali, è un uomo dai grandi sogni. Ha fiducia nel futuro (guarda con interesse ai progressi dei satelliti che esplorano lo spazio) e si rende conto di vivere “anni alti”, ma crede di poter conquistare la felicità con le cose materiali – l’asciugacapelli, il frigorifero, la macchina nuova. È un padre e un marito che ama, a prescindere, e quindi gli si perdona tutto, anche qualche piccola bugia che rende “umano” il rapporto fra coniugi. La moglie è Regina (non si conosce il suo vero nome), una parrucchiera veneta che vorrebbe dare a tutto un tocco di classe. Anche al nome del marito, che da Luigi è diventato Louis, alla francese. Pettinata con un tupet morbido, quando vuole ottenere qualcosa, è più concreta e disincantata. Il figlio di sei anni, immortalato nella foto a guidare la vespa fra le braccia del padre, è Bartolomeo detto Indiano. Un bambino che crescendo rimarrà un enigma, perché molto taciturno e farà delle scelte non condivise dalla famiglia. Infine, piccolo “batuffolo” in braccio alla madre, c’è Vittoria, che è anche la narratrice di questo romanzo. La secondogenita, la figlia femmina, quella cresciuta col nome della nonna paterna e il Cicciobello sul passeggino, a consolarla per l’allontanamento del fratello: il suo amato e grande Bart.

L’opera alterna la sua narrazione agli anni Ottanta, dove una Vittoria ormai ventenne, nella fatidica estate dei mondiali di Spagna – quelli in cui abbiamo vinto coi gol di Paolo Rossi  –, si trova al capezzale della madre che ha perso la memoria. L’anziana donna pare in grado di destarsi solo quando le viene mostrata quella fotografia. Di quel giorno, quando quattro persone potevano andare in giro tutte insieme su una vespa, e per giunta senza casco. A questa figlia è dato il compito quindi di raccontare quella che è stata la loro vita passata, nella speranza di far tornare alla madre il ricordo.

«Ci sono attimi in cui capita di fissare dentro una foto il nostro passaggio sulla terra e restare immobili per sempre, non spostarci più da come siamo entrati in quella specie di eternità sopra un pezzo di carta in bianco e nero».

Gli anni del nostro incanto è un romanzo che parla della potenza dei ricordi, come sinonimo della nostra stessa identità. Di un tempo in cui si è avvertito il bisogno di darsi persino un nuovo nome, pur d’iniziare un’esistenza del tutto diversa. Di figli che anche allora mettevano in discussione l’operato dei padri. Perché, nonostante la malinconia infinita per quella vita “sbarluscenta” e all’apparenza perfetta, qualcosa che ci ha fatto male c’è stato e ci ha cambiato per sempre.

 

Gli anni del nostro incanto
Giuseppe Lupo
Marsilio, settembre 2017
Pagine: 156
Prezzo: € 16,00

Cristina Biolcati

articolista, scrittrice e poetessa