Intervista a Viola Ardone

Quando le storie lasciano un segno indelebile dentro a chi le legge il libro acquista un significato più profondo. Accade a quelli di Viola Ardone, che abbiamo intervistato e che abbiamo imparato a conoscere da un altro punto di vista, molto più intimo.

Un libro meraviglioso che si legge tutto d’un fiato e che emozione moltissimo, come è nata l’idea di scriverlo?
Era una storia suggestiva, quella dei treni, e mi sono meravigliata che nessun altro narratore ci avesse pensato prima di me. Ci sono stati dei tentativi di documentazione attraverso interviste e materiali di repertorio dell’epoca, ma io avevo bisogno di tirare fuori il potenziale emotivo di quella vicenda, e questo può farlo solo il romanzo. Spero di esserci riuscita perché era una storia per me importantissima, da tanti punti di vista. E, al di là del risultato che può piacere o meno, sono orgogliosa del fatto che quell’avvenimento sia tornato alla memoria grazie al mio libro.

Amerigo, il suo coraggio, la sua paura lo rappresentano in pieno, come è riuscita a far conciliare entrambi i sentimenti in questo personaggio?
Ho cercato di pormi dal punto di vista del bambino, che ha un ordine di priorità diverso da quello di noi adulti. La possibilità di ricevere un piccolo dono, un dolciume, un’attenzione particolare può indurli a sopportare grandi difficoltà con allegria e leggerezza. Questo non significa che i bambini non abbiano paura ma che la loro paura è diversa da quella dei grandi, è più legata al mondo dell’immaginazione che a quello della realtà. È una paura più “poetica”, mi viene da dire.

Un’iniziativa del Partito Comunista quella di organizzare questi soggiorni, cosa pensa di questa che alla fine ha incluso gioie, ma anche distacchi e dolori nelle famiglie?
Ho scritto questo libro per capire e non per giudicare, un po’ perché a distanza di tanto tempo non è possibile comprendere quali fossero le reali condizioni di quei bambini e quanto fossero precarie. E poi soprattutto perché la letteratura, secondo me, non giudica, non insegna, non fornisce soluzioni. Al massimo, quando è ben fatta, sollecita domande. Dai racconti che mi sono stati fatti dai testimoni di quei viaggi, però, l’elemento del dolore e della malinconia sembra sparire di fronte alla gioia di trovarsi in un ambiente accogliente, di essere sfamati e vestiti. Credo che nell’esperienza di quei bambini debba essere stato questo l’elemento più forte.

Il pubblico è molto entusiasta di questo libro, cosa vuole dire ad esso?
Li ringrazio di cuore per aver voluto così tanto bene a questo libro. La cosa più emozionante è stata che ho ricevuto manifestazioni di affetto e stima da parte di lettori che appartengono alle fasce d’età più varie: dagli anziani ai giovanissimi. Ognuno è stato colpito da un elemento del racconto: chi dal bambino, chi da Amerigo adulto, chi dal ruolo che le donne hanno svolto nell’iniziativa del PCI. Poi, da professoressa, il fatto che degli adolescenti abbiano scoperto il piacere della lettura attraverso un mio libro mi riempie di orgoglio. E a questo proposito desidero ringraziare i colleghi insegnanti.

Prossimi progetti?
Sto lavorando a un nuovo progetto: è una storia al femminile che esplora il nostro passato recente e tenta di metterlo in connessione con il tempo presente.

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice