Le due vite di Laura Mazzeri

La vita e la morte sono due facce della stessa medaglia, le uniche di cui dovremmo occuparci nella nostra quotidianità. Perché all’improvviso qualcosa può minare la classica routine per far rivalutare anche quello che spesso si dà per scontato. Un libro sulla malattia è quello di Laura Mazzeri, Tra due vite, che ci ha messo di fronte alla paura di non farcela, alla sensazione che all’improvviso tutto può essere perduto. Ma anche alla forza di guardare avanti, e per fortuna di vincere. L’autrice, raccontando la sua storia, ci ha guidato in un percorso in salita, svelandoci qualche piccolo trucco per non abbattersi nei momenti di difficoltà.

La malattia, che di solito terrorizza, nel libro è affrontata con coraggio: in che modo si può trasformare la paura in forza?
La forza per affrontare una malattia grave (o un altro evento traumatico) non è una risorsa immediatamente disponibile. È presente in ognuno di noi ma per manifestarsi in pieno ha bisogno di essere coltivata, nutrita, aiutata a crescere. Il primo passo è quello di non farsi “divorare” dalla paura. La paura c’è, va riconosciuta e anche accettata ma non dobbiamo mai permetterle di dominare tutti i nostri pensieri e di consumare tutta l’energia. All’inizio ero terrorizzata. Poi mi sono detta: vivere così è come essere già morti, non ha alcun senso. C’è sempre qualcosa che possiamo fare: un piccolo progetto da realizzare, affetti da coltivare, passioni da assecondare. Per me è stato importante imparare le canzoni del coro anche quando non potevo andare alle lezioni, guardare film, ascoltare musica, scrivere un diario quotidiano. Fare un piccolo cortometraggio con amici. Inondare la mia famiglia (e soprattutto i bambini) di tanta vita intorno. Di risate, di ironia, di affetti veri e di amicizie. Questo ha dato forza a tutti noi e di rimando ha accresciuto la mia fiducia in una vita ancora possibile, nonostante la malattia.

La vita cambia, si divide in due: la differenza tra il prima e il dopo?
Ci sono voluti anni per metabolizzare il passaggio e il libro vuole essere, appunto, la testimonianza di questo percorso e del faticoso cammino verso una nuova condizione. Per riassumere al massimo quello che ho narrato nel libro in modo analitico passo dopo passo, direi che la malattia grave mi ha messo nella necessità di guardare in faccia, concretamente, la reale e prossima possibilità del morire. Allora, di fronte a poca vita davanti a me, ogni cosa ha preso il suo posto, immediatamente: capisci subito cosa per te è fondamentale, cosa è accessorio, cosa è autentico e cosa invece è solo una maschera che ti porti dietro. Vedi la tua vita come in un film, osservandola come farebbe uno spettatore molto coinvolto. Capisci molte cose. Capisci lucidamente il senso della tua vita, proprio perché la stai perdendo. Dopo il trapianto il pensiero della morte si è per fortuna allontanato e sono gradualmente tornata a una quotidianità quasi normale. Ma niente è stato più come prima. “Dopo” ho dovuto reinventare tutto. È stata la concreta possibilità del morire a insegnarmi davvero la vita. A mostrarmi chi sono. Ora sono felice, ogni giorno, nonostante le inevitabili difficoltà del percorso.

Cosa pensa della morte? E della vita?
Sono le uniche cose di cui vale la pena occuparsi. Tutto il resto ne consegue, non le sembra?

Un libro o un autore importante per la sua formazione?
Da bambina Piccole Donne e tutti i libri di Salgari. Nel primo mi piacevano le infinite sfumature dei personaggi e le minuzie della vita quotidiana di un tempo lontano. Nei secondi il senso smisurato dell’avventura, dell’amore romantico, della ribellione. Più avanti l’elenco si allunga perché ogni fase della mia vita ha avuto alcuni autori o libri significativi, e si è aggiunta la poesia… Da adolescente declamavo Leopardi e leggevo le opere complete di Cesare Pavese. Anche Moravia. Poi sono uscita dallo spleen di quella età e Cent’anni di solitudine  di Marquez mi ha portato verso una maggiore vitalità e movimento. Con Hermann Hesse come contraltare riflessivo. Da adulta ho recuperato con piacere molti classici che prima mi sembravano remoti…. Nel tempo della malattia ho letto e riletto Primo Levi, nessuno come lui racconta le infinite sfumature dell’animo umano di fronte alla tragedia.

Che testo ha in questo momento sul comodino?
Una autobiografia ironica e molto arguta: Fossi in te io insisterei, di Carlo Gabardini. L’ironia è un grande dono e saper scrivere di cose profonde con leggerezza è una capacità rara (come diceva Calvino).

Quale messaggio vorrebbe dare ai giovani che oggi si deprimono alla prima occasione di sconfitta?
Non conosco giovani che si sono depressi alla prima occasione di sconfitta. Conosco giovani insicuri e disorientati, pessimisti e rinunciatari. La depressione è un’altra cosa, è una patologia. Conosco giovani che non godono davvero la vita perché rinunciano a far valere le proprie risorse. Che si lasciano un po’ vivere. Direi loro di ascoltare profondamente se stessi, cioè la propria voce interiore, di non farsi guidare dagli altri, di cercare le passioni nascoste o non espresse. Il coraggio di essere autenticamente diversi. Di lottare per essere ciò che ognuno sente di essere. Solo il coraggio di essere se stessi dà sugo alla vita. Garantito!

Maria Ausilia Gulino

Teacher – Journalist