Intervista a Michela Fregona

Domani, 25 febbraio, la scrittrice Michela Fregona sarà alla libreria La porta gialla alle ore 19 per presentare il suo libro La classe degli altri.

Protagonisti della “Classe degli altri” tanti uomini e donne ognuno con un proprio bagaglio di vita qualcosa su queste persone?
Gli altri sono la classe, e la classe è: il mondo. Un flusso continuo di persone, di vite, di crisi e di soluzioni. 
Ci sono uomini che hanno abbandonato la scuola quando erano ragazzetti, donne ferme alla quinta elementare perché in casa erano i maschi a studiare; ci sono giovanissimi che hanno già collezionato disfatte di vario tipo, e persone che vengono da altri mondi, dove i loro titoli contavano, mentre qui devono ricominciare da capo. 

Per alcuni la scuola è un approdo, per altri una necessità; c’è chi ci arriva per caso, chi portato di peso dalle famiglie; chi per desiderio. Tra un arrivo e una partenza, tutte le possibilità sono aperte: riscatto, deviazione, perdita, cambiamento.

Le loro storie sono una stratigrafia di quello che siamo, e di quello che possiamo diventare, perché la scuola è ancora il luogo dove non è mai troppo tardi: il migliore dei laboratori umani, il terreno di ogni possibile riscatto. Non è il diploma. È la strada per conquistarlo che diventa, insieme, l’esperienza di sapere essere altro: da sé, dal proprio passato, dalle proprie ferite.

Come è nata l’idea di scrivere questo libro?
Prima per intuizione, poi per volontà. La prima intuizione che ho avuto si è mossa per affetto: semplicemente, fin dal primo anno di insegnamento, mi dispiaceva separarmi del tutto da quello che avevo vissuto in classe quotidianamente. Così ho iniziato ad accumulare: elenchi di nomi, stralci di temi, foto. Non in modo sistematico, ma proprio per una istintiva necessità di portare con me cose che sentivo importanti.

Sono arrivata a insegnare per una scelta: quando ho iniziato, avevo già sulle spalle sette anni di giornalismo in cronaca. Un mestiere che ha allenato e condizionato la mia maniera di guardare alla realtà – e per questo gli sarò sempre debitrice. All’intuizione iniziale si è così sovrapposta, poco a poco, la consapevolezza che delle vite che mi passavano davanti c’era molto da raccontare: molta umanità, molta resistenza, molta notizia. E però, di tutto questo mondo non c’era praticamente narrazione. 

Così è nata la volontà di raccontare (e ho iniziato ad appuntare dialoghi, espressioni, storie). Lì dove non c’è narrazione, l’immaginario facilmente si storce, lascia il campo libero a facili preconcetti. Spesso si pensa alla scuola serale come a un mondo di residuati bellici abbandonati dal destino: ma la scuola serale è, al contrario, un avamposto – di ciò che la società abbandona, certo; ma anche di una possibile, e diversa umanità: fatta di legami e di dignità, di fatica, di riscatto, di urgenza di costruire un futuro diverso. Partendo proprio dallo studio: una rivoluzione delle teste. Straordinaria.

Cosa significa insegnare nelle scuole serali e carcerarie e perché ha deciso di farlo?
Rispetto alla scuola del mattino, quello del serale è un altro mestiere: quando si ha a che fare con persone adulte, non si può prescindere dalla complessità della vita che vivono. La scuola entra nelle loro case, cambia i ritmi delle famiglie, richiede energia. Gli equilibrismi che gli studenti lavoratori fanno per far stare insieme tutto sono una variabile che determina la loro resistenza: per questo serve una attenzione, da parte della scuola, che va oltre la lezione. Banalmente: se i corsisti non ci sono, la lezione non c’è – è una condizione opposta a quanto accade nella scuola del mattino. Tenerne conto significa anche prendere coscienza di quanto possa incidere un insegnante nella motivazione alla resistenza. Da fuori, si pensa spesso ai serali come luoghi in cui gli studenti “funzionano” per definizione: sono invece delicatissimi i meccanismi che fanno stare in piedi tutto. 

Quando ho iniziato, vent’anni fa, appena vinto il concorso, non sapevo nulla delle scuole serali: una collega a cui chiesi informazioni mi disse che se avessi avuto spirito di adattamento e di avventura, e fossi stata disposta a sorprendermi, quello sarebbe stato il posto giusto per me. Mi buttai. Oggi continuo a ringraziarla di avere avuto parole così precise. 

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice