Intervista a Gianni Andrei

L’ingegnere tiburtino Gianni Andrei in quest’intervista parla del suo libro Il risvolto delle foglie.

Il risvolto delle foglie è un insieme di racconti, ognuno con una sua storia ma è come se fossero legati da quei valori importanti come l’umanità la famiglia, l’amore e l’amicizia: come è nata l’idea di scriverli?
Sì, in realtà le storie e i temi affrontati in questa trilogia hanno un filo conduttore che non è altro che quello del vivere, intriso di sentimenti quotidiani radicati e fondanti. Sono tre romanzi brevi, o racconti lunghi, per un viaggio in alcuni luoghi emblematici dell’Italia sospesa tra fede e superstizione, tra riti magici e tradizioni religiose, tra paura e coraggio, dove si intrecciano storie di vita e di amori difficili o delusi, nelle emozioni sensuali della natura. In tutti e tre ad essere protagoniste sono le donne, in tempi e luoghi differenti. In ognuno affiorano le tematiche pressanti del vivere di ieri e d’oggi, come le sofferenze d’amore, lo slancio nello sviluppo adolescenziale, la speranza e la rassegnazione delle attese e l’anelito di solitudine, nello scorrere delle vicende di personaggi che lasciano una testimonianza forte del loro saper e voler vivere nel mondo, in epoche differenti eppure attualissime. 

L’idea, o meglio la suggestione e il “bisogno” di scriverli, emerse una quindicina d’anni fa. Il primo romanzo, quello ambientato ad Ischia, che io chiamo l’isola “perfetta e provvisoria”, lo scrissi proprio lì, durante uno dei tanti soggiorni che ho avuto la fortuna di vivere con intensità. Il secondo invece, che risale sempre al primo decennio di questo secolo, è nato da un crogiolo di sensazioni e ricordi, molti tramandati dalla vita della mia nonna paterna, dal drammatico periodo degli anni Quaranta sino ai primi del 1970, con una puntata importante a Villa Adriana. L’ultimo poi era la prima delle storie che volevo scrivere, avendo intuito e interpretato situazioni e possibili sviluppi sociali e politici che cominciarono a manifestarsi negli anni a cavallo della fine secolo e inizio di questo millennio. Lo concepii all’inizio del Duemila e poi l’ho ultimato due anni fa.       

Perché questo titolo così curioso?
Il titolo è la chiave di lettura del libro. Le foglie di un albero appaiono sempre distese nel lato più splendente e levigato verso la luce, verso il sole, verso lo slancio del vivere. Ma il loro rovescio è nello scuro. Le facce del dorso vivono nell’ombra, finché la capricciosa volontà del vento a volte le ribalta per qualche secondo e le costringe a vedere la luce. Attimi che illuminano il buio, momenti rapidi ma esaltanti. In cui si scoprono realtà solo immaginate e altre misteriose, insospettate eppure pulsanti. Contemporaneamente, quelle abituate alla luce si trovano a loro volta a vagare nell’oscuro, a guardare verso il basso e a scoprire profondità imprevedibili. E pensano entrambe di aver compreso quello che non vedevano. 

Tradizione, magia, coraggio sono tre dei protagonisti del libro, cosa rappresentano per lei questi valori?
Occorre subito dire che io amo scrivere “dal vivo”, per esperienze vissute, seppur sentimentalmente ma in luoghi reali. “I profumi del paradiso” narra la storia “incredibile” vissuta nell’isola di Ischia da un professionista single che vi giunge per la consueta settimana di vacanza ma che si trasforma in una straordinaria inattesa avventura, sospesa tra il fascino della seduzione, lo scorrere del tempo e avvenimenti misteriosi. Storie e personaggi qui sembrano riemergere dalla polvere dei secoli e si rimaterializzano tra realtà e leggende sino al suggestivo finale. L’atmosfera intima e segreta della Roma trasteverina della metà del ‘900, sospesa tra i silenzi dei vicoli, è quella di “Una notte di San Giovanni”, riemersa e riattualizzata da esperienze tramandatemi. Protagonisti sono una ragazza degli anni Settanta, che scopre l’intensità dell’amore pur rivivendo i timori fanciulleschi, e la nonna, che continua a vivere tra l’osservanza delle tradizioni e la memoria degli anni della seconda guerra mondiale che si riattualizza. Qui si intrecciano storie di attesa, di paure e di speranze, tra antiche usanze e arcani rituali magici, con una gravidanza concepita tra i ruderi di una grandiosa villa romana e in bilico tra il tentativo di interromperla e il desiderio di lanciarsi felicemente nella vita. E infine, ecco il romanzo più sentimentalmente tormentato. “Il miracolo interrotto” si svolge in Umbria nel 2007, tra le mura di un monastero femminile di clarisse. I personaggi principali sono anche qui due donne, entrambe nate negli anni Ottanta del secolo passato: una giovane monaca e una ragazza libanese. La storia singolare della prima si incontra improvvisamente con quella altrettanto drammatica dell’altra, in cerca disperatamente d’aiuto. Tra le amenità della natura e le cadenze della vita claustrale, si consuma un serrato confronto tra due opposte interpretazioni della fede e della vita, pur animate dalla stessa appassionata ricerca dell’amore. La tragica conclusione conferma e riscatta il senso delle due vite, l’una messa duramente alla prova nella tensione verso l’Assoluto, l’altra sacrificata e offerta per quella degli altri. Insomma, sono tutti e tre delle metafore del vivere quotidiano, dove la quotidianità diventa sentimento puro, declinato attraverso l’emozione e il fascino di desideri, bisogni spirituali e sentimenti.   

C’è qualcosa di autobiografico in queste storie?
In queste pagine ci sono io, anima e corpo, con la mia aspirazione di “sopravvivere al tempo”, quello trascorso con nostalgia, l’altro che si sta sublimando nel presente e infine il prossimo proiettato nel futuro. Come la “poesia” che definisco “la sfida di superare il limite della memoria”, anche questa trilogia narrativa è una sfida. Di continuare a vivere un po’ di più di quanto mi sarà ancora concesso. 

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice